sabato 28 luglio 2012

La letteratura siciliana è donna



Nella sorpresa generale le scrittrici siciliane hanno superato gli scrittori: non solo in numero ma anche in qualità, anzi nelle modalità. Proliferano e diversificano. Non c’è un genere ormai loro estraneo, nemmeno il giallo né il seriale. In più vantano un appannaggio che non stimola granché gli scrittori: quello della tradizione culinaria e quindi della memorialistica di costume.
È pur vero che la letteratura femminile non è mai stata rosa in Sicilia: non ha frequentato la chick-lit, ha riso della rima amore-cuore e anche in una ragazza allo specchio intenta nei suoi colpi di spazzola non ha supposto l’angelo ma il demone, il sesso più dell’amore, il desiderio dei pantaloni invece dell’abito nuziale. Epperò è innegabile che siamo davanti a un fatto nuovo. 

Giuseppina Torregrossa parla di casualità mentre Simonetta Agnello Hornby immagina semplicemente che «le donne al momento scrivano più degli uomini». Certo. Ma perché scrivono di più? Maria Attanasio ha una risposta: «C'è oggi forte, impellente, nelle donne l'esigenza a raccontarsi, a rappresentarsi senza mediazioni. Questa, a mio parere, è la motivazione che spinge molte donne a scrivere; e ad alcune - sempre più numerose, per fortuna - a emergere a livello nazionale». Non è una risposta che però può bastare. Occorre intanto chiedersi se questa coazione a raccontarsi riguarda la sola donna siciliana. In questa prospettiva Elvira Seminara osserva che «tutta la letteratura e dunque l’editoria si sono femminilizzate. E non solo quanto alle autrici, ma anche nei temi narrativi: amore, eros, adolescenze più o meno squinternate, scenari domestici variamente insidiosi, e poi memorie di nonne e zie, cibo e ricette, la floricultura... Certo» spiega la scrittrice catanese «c’è anche, fiorentissimo, il filone giallo, ma anche qui sono in campo commissari, fragili e appassionati, di sensibilità – come si diceva un tempo – femminile. Guardiamo i titoli sugli scaffali, dov’è un trionfo di parole pink, come fiori, profumo, segreto, favola, abbraccio, luna! Mi pare comunque che i romanzi rosa italiani più venduti siano spesso opera di uomini, da Moccia a Volo. Se fosse vivo Gramsci, che definiva una furente autrice di bestseller come Carolina Invernizio “la gallina della letteratura”, sarebbe una bella soddisfazione per noi donne. A parte il fatto che sono le donne a leggere di più».
Ma se la letteratura si è femminilizzata ciò vuol dire che, quanto alla Sicilia, la donna si è emancipata per cui legge di più e scrive di più? Risponde Maria Rosa Cutrufelli: «È vero che oggi le donne, in Sicilia come altrove, sono presenti sulla scena letteraria, ma non si tratta di un dato che riguarda solo il mercato editoriale. C’è una maggiore presenza femminile in molti ambiti un tempo di esclusivo dominio maschile. E poi si sa che le donne studiano di più e che anche il numero delle laureate è più alto di quello dei laureati (il 39,2% contro il 26,6%). Tuttavia l’amore per la scrittura non mi sembra un semplice frutto dell’emancipazione. Scrivere è anche un modo per “prenderci cura” di noi stesse: una libertà che, in fondo, sperimentiamo da poco tempo (ancora nel secolo scorso Virginia Woolf rivendicava “una stanza tutta per sé”). Il problema oggi è semmai la scarsa attenzione dei critici letterari alla produzione femminile. Da un’indagine promossa da “Vida”, un’associazione di scrittrici americane, risulta per esempio che in un anno i libri recensiti dalla “New York Review of books” sono per l'83% di uomini. Sarebbe interessante fare la stessa indagine sui quotidiani siciliani». 
Una pratica liberatoria dunque. E una forma di autoterapia e di autocoscienza. Tea Ranno è d’accordo: «Le donne hanno acquisito una maggiore consapevolezza di sé, della propria voce, dei propri strumenti. Se prima non avevano la possibilità di rendersi visibili, adesso sanno come fare, e lo fanno con estro e competenza».
Ma da dove nasce un fenomeno di tale portata? A volerne rintracciare le scaturigini si risale alla madre putativa della narrativa femminile isolana, la Maria Messina che indicava nel realismo non solo una strada ma anche una vocazione. La «scolara di Verga», nella quale Sciascia vedeva anche una discepola di Pirandello, per prima ha saputo compenetrare un’ambivalenza che si è precisata nell’osservazione verghiana dell’uomo nel mondo e nella ricerca pirandelliana del mondo nell’uomo. Tra l’uno che ha insegnato a guardare la società e l’altro che ha indicato come osservare se stessi, gli scrittori siciliani si sono divisi in analogici e analitici prendendo cittadinanza nell’uno o nell’altro emisfero. 
Le donne invece hanno sintetizzato le due modalità e hanno imparato da Maria Messina a guardare come Verga e pensare come Pirandello. Ancorate a un primigenio principio di realtà circonfuso in una più sorgiva matrice spirituale, per riferire il vero rappresentando l’intimistico, le scrittrici siciliane non si sono lasciate distrarre dall’impulso tutto maschile a testimoniare i fatti ed ergersene a interpreti. Tranne pochi casi, non hanno usato la prima persona per distillare i grumi del proprio recesso, anche sessuale, in pagine di diario privato, alla maniera dell’invalente letteratura woman to woman; non hanno raccontato la mafia per darne una spiegazione; né hanno esplorato la Sicilia per esitarne in chiave moralistica un referto sociologico. 
Venuta meno l’egida della triade Sciascia-Bufalino-Consolo che ha segnato una lunghissima stagione appena conclusa, le scrittrici siciliane hanno riannodato le fila con la grande tradizione novecentesca ma sostituendosi, nel nuovo secolo, al dominio di giganti quali Vittorini, Brancati, D’Arrigo, Quasimodo, Bonaviri, Addamo e riconoscendo, parte di esse, il solo Camilleri come unico riferimento, quantomeno nell’espressionismo delle forme e nella tentazione alla parlata d’uso. Giuseppina Torregrossa, la più camilleriana, è quella che guarda con maggiore trasporto al mainstream e non ne fa mistero: «Io attingo alla realtà e non penso di essere l’unica. Verga e De Roberto sono per me due modelli inimitabili». La scrittrice di Panza e prisenza non vede perciò differenza tra i due generi. E mentre la Ranno crede che «le scrittrici siano più attente ai dettagli, alla creazione di un universo che ha coordinate emotive più forti», Simonetta Agnello Hornby respinge invece l’idea che la Sicilia possa essere raccontata in maniera distinta: «Ogni scrittore racconta e descrive la “sua” Sicilia, diversa o simile che sia da quella di tanti altri siciliani, scrittori e non». La Sicilia si condivide senza che sia spartita, insomma. Tant’è che l’autrice palermitana può rivelare un episodio a riprova: «Ho scritto per “Slow Food” un racconto lungo con ricetta, La pecora di Pasqua, assieme a mia sorella Chiara. Appena letta la bozza, Chiara mi chiama facendomi notare che, senza volerlo, avevo attinto largamente da Il sonaglio di Camilleri. La sua Sicilia era talmente simile alla mia che non mi ero accorta di aver “inventato” quanto lui aveva già descritto così bene. Ne abbiamo riso insieme, Andrea e io, quando gliel’ho raccontato. Ma io ho dovuto riscrivere il racconto».
Assoluta parità dunque nella visione della Sicilia. E, di più, totale unità di ambo i sessi nel precetto di non scrivere che di essa, entro un orizzonte che allinea le esperienze più difformi ma tutte tese a ricreare, come in un intento condiviso, una nuova cosmogonia. Così, la variopinta e postmoderna Sicilia di Giuseppina Torregrossa protende le cime alla remota e catafratta isola di Simonetta Agnello Hornby mentre quella a presa diretta di Roselina Salemi integra la corpuscolare e prismatica di Elvira Seminara, anche lei di formazione giornalistica. E dove Melissa Parrinello incontra, sul terreno delle dismisure di contegno e ritegno, la peristaltica Silvana Grasso degli eccessi linguistici e delle rivolte sessuali, accompagnate entrambe dalla Lara Cardella che ha declinato sotto diverse oltranze il verbo della liberazione sociale, tra morale agonale e insorgenza mafiosa, si ritrovano anche Maria Attanasio e il suo romanzo storico, Tea Ranno e la sua etopea di scandali a raggio corto, Maria Rosa Cutrufelli e il suo compendio di Sicilia sospesa tra tradizione e modernità, Silvana La Spina e il suo multiforme interesse, molte volte di natura civile, per un’isola ora visionaria, ora millenaristica, infine ricondotta alle peripezie di uno sbirro femmina: tutte queste iscrivibili nel segno di due siciliane adottive, Dacia Maraini e Luisa Adorno (che della Sicilia hanno inteso restituire un enunciato più che una descrizione) e di una siciliana eretica che può essere eletta a ispiratrice occulta di un’intera generazione, Goliarda Sapienza. 
Una generazione arrivata prepotentemente all’attuale ribalta di scrittrici in attività e affermate: Beatrice Monroy, Catena Fiorello, Evelina Santangelo, Viola Di Grado, Egle Palazzolo, Valentina Gebbia, Veronica Tomassini, Giovanna Giordano, Emma Dante e qualche altro nome sicuramente dimenticato, sia pure diverse per età e gusti, offrono aspetti altrettanto originali della Sicilia e fanno parte a pieno titolo del nuovo canone, se per canone si assume la stessa Sicilia quale tema di un assillo inesausto e ricursivo oggi straordinariamente femminile.