giovedì 29 giugno 2017

I Ddieri di Baulì, un tesoro introvabile


Se nel 1777 il viaggiatore francese Jean Houel fu portato a visitare i Ddieri di Baulì, che ancora oggi non è per niente facile raggiungere, è segno che costituivano una attrazione turistica di particolare richiamo: diversamente da oggi, perché sono meta di visitatori isolati e privi di alcuna indicazione e soprattutto di ogni cura.
I Ddieri si trovano nel bosco omonimo di Baulì (o Bauly) tra Palazzolo e Canicattini Bagni, al limite nord della Riserva naturale di Cavagrande. Sono accessibili a chiunque, bastando cercarli nella fitta vegetazione. Traggono il nome attuale da etimi arabi, ddieri, termine dialettalizzato, derivando da diyâr, che significa abitazione, e Baulì da Abu Alì, che sta per “padre di Alì”, forse il proprietario. Non hanno mai trovato un’accezione italiana proprio perché sono stati bellamente ignorati. Un bene e un male nello stesso tempo, essendosi il sito (che è un Sic, cioè un sito di interesse comunitario) conservato integro ma finendo teatro di incursioni incontrollate. Rientra nel complesso rupestre del quale fanno parte Pantalica, Cavagrande, Castelluccio, Petraro e compone con essi una vasta rete di insediamenti preistorici che devono la loro esistenza alla particolare conformazione della roccia calcarea, sia dura che tenera, e quindi facilmente lavorabile con conci di pietra.
Osservando uno dei tre Ddieri di Baulì, quello cosiddetto “Grande” (gli altri sono detti il “Piccolo” e il terzo “dell’Eremita”), lo stesso Houel si accorse che, occorrendo allargare l’ambiente per fare spazio ad altre persone, i trogloditi trovavano facile continuare a scavare, sia in orizzontale che in verticale.
Proprio il Diiere grande costituisce il maggiore caso ai fini di una ricerca scientifica che però è del tutto mancata. Se è vero infatti che, al pari degli altri siti dell’intero altipiano ibleo, sorse come necropoli in epoca preistorica, è anche vero che fu poi adibito a dimora. Questo Houel lo capì benissimo, arrivando a dire che il taglio delle stanze era preferibile a quello del suo tempo, ma non si accorse dell’elemento più significativo. In età bizantina il Ddiere diventa infatti anche un ritrovo religioso, una vera e propria chiesa ortodossa. Il pianoterra si presenta infatti con una parete liscia che divide due ambienti comunicanti attraverso un passaggio ad altezza d’uomo e una finestrella. La parete poteva costituire una iconostasi, sicuramente decorata con affreschi sacri, che separava la parte riservata ai fedeli da quella dove trovavano posto i celebranti che distribuivano l’eucarestia servendosi dell’apertura piccola. Se è così è possibile dedurre da un lato che l’iconoclastia non fu davvero osservata in Sicilia, come si è accertato, e da un altro che il Ddiere ospitava non una famiglia ma un’intera comunità, oppure che la zona era popolata quanto bastava per richiedere un luogo di culto.
Si trattava di una popolazione che non osservava alla lettera i precetti bizantini, ma che non era fortemente cattolica. Di una popolazione che aveva paura di saraceni e pirati, tanto da lasciare i luoghi abitati come la vicina Akrai, ma che non amava molto nemmeno Bisanzio e soprattutto la sua politica di dura imposizione fiscale. Un’ipotesi per spiegare la fuga negli arcaici agglomerati rupestri porta infatti a supporre il tentativo di sottrarsi al pagamento delle tasse.
Non si hanno comunque prove circa l’esistenza di una iconostasi nel primo ambiente che si incontra entrando nel Ddiere grande. Si ha prova invece di inquilini che si eano creati condizioni di vivibilità che diremmo civili. Houel notò la presenza di una latrina che probabilmente era fornita di una botola per chiuderla e renderla igienica. Certamente il Ddiere era provvisto di silos dove custodire derrate alimentari e l’impressione che offre, come gli altri due di Baulì, è di una fortezza inespugnabile in un tempo in cui un’aggressione era possibile solo corpo a corpo. Al terzo livello dell’abitazione si trova peraltro una stanza che probabilmente fungeva da torre di guardia nel proposito di tenere sott’occhio l’ampia area che si apre di fronte.
Studi che non siano occasionali ed estemporanei potrebbero portare ad acquisizioni importanti, ma non sembra che ci sia molto interesse verso i Ddieri, abbandonati a se stessi, né soprattutto i fondi necessari.