sabato 22 luglio 2017

Fiume e Luisa, l'adultera dell'opprimente Ragusa


Un libro ambientato a Ragusa, ma che a Ragusa torna scomodo, è I sogni di Luisa che Salvatore Fiume pubblica nel 1983 da Rizzoli lasciandosi andare a giudizi del tipo “i ragusani sono indifferenti alle cose degli altri mentre rivelano uno spirito dinamico quando devono fare qualcosa per se stessi”.Si tratta di giudizi che brillano per la temerarietà, se non l’impudenza con cui sono pronunciati e che inducono a chiedersi quanto siano fondati e quanto riconducibili al vero sentimento che verso Ragusa animava il pittore comisano. E se Comiso è “il paese dove nascono molti figli burloni e scoscienziati”, Ragusa è “un paese dove non accade mai nulla e dove, per fare accadere qualcosa, occorre proprio qualcuno che venga da Parigi o da Comiso”. 
Fiume vede a Ragusa “gente moscia, lenta e indolente” e individua nelle “doti di calma, anzi addirittura di flemma e di pazienza” i caratteri che “rendono inconfondibili i ragusani nell'intero territorio dell’isola”. Sono queste “le doti del fesso” si dice Fiume. Che subito però si corregge: “Non è possibile, perché proprio di quei difetti i ragusani si sono sempre avvantaggiati negli studi, nei commerci nelle carriere”, dove dimostrano di essere “tipi tenaci e particolarmente intraprendenti”.
Ma se i ragusani fanno carriera “con la mano molle e piedi di piombo”, se “hanno fama di non essere troppo dotati”, se sono “lenti a capire” e se le “cipolle ragusane sono grosse come le teste degli abitanti di quel paese”, Fiume concede loro il pregio di essere, “come i vittoriesi, molto aperti, pronti alle novità e quasi sempre i primi ad adottare i costumi, pettinature e vestiti in uso nel nord Italia”. Alla fine però Fiume tradisce la sua spiccata e definitiva versione contro i ragusani facendo candidamente dire proprio di se stesso a un personaggio del racconto: “No, Fiume non è ragusano! Mi scusi se sono prevenuto: se fosse ragusano avrei dei dubbi sul suo talento”. 
Ma è reale il malanimo di un Fiume inaspettatamente così prevenuto? Vediamo meglio come questa ostilità nasca intridendo più l’opera che l’uomo. Per scrivere I sogni di Luisa Fiume ha bisogno di un “paese pettegolo e opprimente” dove ambientare il racconto che un viaggio nel Camerun gli ha ispirato. A Fun Ban Fiume ha infatti appreso come tribù camerunensi siano in grado di produrre veleni i cui effetti si determinano a distanza di tempo e nelle forme più fenomenali. Questa scoperta suggerisce a Fiume l’idea di un romanzo che se scritto da Buzzati, Gogol o Poe sarebbe, per sua ammissione un capolavoro. 
Fiume immagina che una ricchissima ragazza parigina, divenuta moglie “portata” di un nobile rampollo siciliano, sia a sua insaputa sottoposta a somministrazioni di veleno capace di condurla la morte cosicché il suo ingente patrimonio passi nelle mani della perfida suocera. Ma l’effetto retard che il veleno adduce è di procurare alla ragazza sogni erotici ai quali lei affermerà di non volere più rinunciare, innamorata come si ritrova dell’uomo senza volto che appena si addormenta le appare in sogno amandola in circostanze talmente realistiche da ingenerare nel marito il sospetto che abbia un amante.
Il tema del tradimento, portato sotto una luce del tutto originale, si innesta così nel tronco di un giallo siciliano che per essere tale richiede la compartecipazione di nuovi personaggi incaricati di sventare il disegno omicida e di condurre a lieto fine il racconto. E questi personaggi l’autore li trova eccentricamente nella realtà: il professore Talligra, nome storpiato che sta per Pelligra, suo amico e mentore, figura mitica della Comiso d’antan; l’altro è lui stesso, il pittore Salvatore Fiume. Essendo entrambi di Comiso, l’autore ha bisogno di un teatro non lontano dove inscenare la sua trama fitta di contesse assassine, profittatori il riuniti in un “Club degli uomini del sogno”, pettegoli di strada, avvocati e amici bigotti e provinciali, tutti tenuti insieme dal totentanz del tabù dell’adulterio. E Ragusa gli appare una scelta obbligato, anche se può apparire voluta. Ma è una scelta tenuta troppo in superficie per essere ricercata. Il rapporto tra ambientazione e personaggi del romanzo resta infatti non approfondito e perciò inclina a rivelarsi pretestuoso, se non provocatorio. Epperò Fiume spiega perché elegge Ragusa a principale scenario del suo giallo laddove, per il motivo di dovere sostenere il racconto, esonera il marito siciliano dall’obbligo di tenere fede all’onore offeso uccidendo la moglie fedifraga. Proprio perché ragusano, il marito non può sentire quell’obbligo come inderogabile al pari di quanto invece farebbe, precisa Fiume, “un altro di un’altra zona della Sicilia, non so, ad esempio uno di Favara, di Ravanusa, di Grotte, di Porto Empedocle, di Piazza Armerina”. 
Ma se il ragusano non concepisce divorzio alla siciliana, pure avverte il problema della infedeltà muliebre - ancorché la moglie sia parigina, egli stesso provenga da famiglia elevata, sia reduce da studi ed esperienze fatti fuori la Sicilia e soprattutto l’amante-rivale sia il frutto di un sogno recidivante. Fiume forza i confini entro i quali si rinnova il mito dell’onore e postulando un’ipotesi surrealisticaz solleva la questione se la moglie che si concede nel sogno a uno sconosciuto commetta adulterio e se un matrimonio possa di conseguenza essere ritenuto valido. Un modo espressionistico di affrontare l’argomento, tant’è che Fiume sceglie di farsi gioco di esso irridendo alle convenzioni sociali più retrive e facendosi beffe del mondo di cui egli stesso è parte, quello ibleo. 
Illuminante per spiegare fino a che punto Fiume intenda dissacrare i miti siciliani è l’incontro dei due coniugi a Bangkok con degli accademici che chiedono se nell’Ottocento l’uomo ragusano sia stato coperto di peli. A Bangkok marito e moglie vanno per verificare se, lasciando Ragusa, lei non riesca a staccarsi anche dall’uomo dei suoi sogni. E mentre lui e lei sono a Bangkok, a Ragusa nasce (a opera della “crudeltà” comisana e a danno della “idiozia” ragusana) il virgolette “Club degli uomini del sogno” che traggono godimento unicamente dal rivendicare l’identità dell’uomo segreto della nuora della contessa.
Siamo nel pieno del gusto brancatiano con figure da sit-com come Santina che da attempata zitella vuole anche lei un uomo da sognare, ma agiscono anche riecheggiamenti di Patti e certo teatro sicilian-popolare che inclina al grottesco e al paradossale, educato, sull’esempio di prove che vanno da Musco a Fermo, all’abile sospensione giocata tra clownerie e sotie, mentre sullo sfondo la Sicilia continua a evocare stereotipi e agitare mélanges
Romanzo che nulla concede al bellettrismo, scritto di getto e poco sorvegliato, pur teso a stabilire un ponte con l’arte nera recuperando riferimenti africani che sono comuni ad altri artisti iblei, da Guccione a Santiapichi, che come Fiume hanno portato materia di studio dai loro soggiorni oltremare, I sogni di Luisa rimanda al filone della letteratura di tipo sperimentale esemplata su certo espressionismo presente nella prosa nazionale che ha portato a esiti narrativi surrealistici come in Buzzati e gogoliani come in Brancati, sulla cui lezione Fiume ha chiaramente omologato il proprio registro. Ma nuovo il romanzo si rivela nel carattere che lo stesso autore gli attribuisce di castone nel quale sono incastrati racconti metonimici apparentemente estranei e creazioni pittoriche metaforiche nelle quali “è presente lo stesso stato di sogno che aleggia nel romanzo”. 
Visto così il libro (con la sua introduzione scritta a penna, i personaggi presentati come in un’opera tetrale e perdippiù ritratti) guadagna una sua particolare validità come prova multimediale e fa premio sull’opera letteraria maggiore e migliore di Fiume che resta Viva Gioconda.