mercoledì 25 ottobre 2017

Il primo rococò che si vide in Sicilia



Quando ad aprile lasciò il G8 di Taormina e capitò nella chiesa del Carmine a Scicli, Maria Elena Boschi si affacciò a una finestra dell’annesso ex convento appena restaurato (ma ancora non aperto al pubblico) e disse: «Scicli ha dei colori straordinari, ho visto una città incantevole». Incantevole sì, ma anche segreta: come appunto l’omonima chiesa, scelta il 15 ottobre scorso dal Fai quale meta da mostrare, tra le tante della città di Montalbano, a un occhio curioso e avvertito. Per secoli il prospetto è stato infatti attribuito a Rosario Gagliardi, il caposcuola del tardobarocco siciliano, seppure evidenti fossero alcuni inspiegabili elementi di diversità, a partire dalle sette sculture non più incassate nelle canoniche nicchie a parete ma come sospese e attaccate ad essa. 
Dalla seconda metà del Settecento agli anni Settanta del Novecento lo storytelling ha tuttavia visto sempre una facciata barocca, finché lo storico locale per eccellenza, Paolo Nifosì, pretese di intervenire a un convegno a Noto, presenti due autorità indiscusse, André Chastel e Cesare Brandi, e poté dimostrare che la chiesa non fu disegnata dall’architetto Gagliardi ma da un carmelitano di Scicli ospite del convento, Fra Alberto Maria di San Giovanni Battista. Il quale compì una specie di azzardo: volse il barocco imperante di stampo gagliardano, quello stesso che pur gli aveva guidato la mano nell’immaginare la chiesa di San Giovanni Evangelista, a ridosso del palazzo comunale e sede del commissariato di Camilleri, in un rococò leggero e raffinato che non s’era ancora visto in Sicilia e che era sfuggito anche di fronte a un’altra chiesa-convento carmelitana, quella del Carmine di Noto, come di alcuni spunti della chiesa di San Giorgio di Modica. Ecco dunque qual era la nota stonata. La particolarità delle modanature e soprattutto dei capitelli, la cui dinamica tradisce più di ogni altro segnale il gusto rococò, non si accordavano con il canone tardobarocco. 
Brandi ascoltò Nifosì e non esitò a scriverne sul Corriere della sera, dopodiché il primo studioso siciliano di storia dell’arte, Salvatore Boscarino, accolse nella sua enciclopedia la proposta di Brandi venuta da Nifosì, ma limitatamente all’esterno. E invece anche l’interno - questione però ancora dibattuta - potrebbe essere rococò, dagli stucchi ai marmi degli altari alle cornici dei dipinti. 
Sennonché la singolarità della chiesa sciclitana rileva soprattutto nella sua integrità e unitarietà, trattandosi di uno dei pochissimi esempi di architettura settecentesca che l’estetica neoclassicista non ha poi modificato e snaturato. Sembra cosa da poco, ma non è facile trovare in Sicilia manifatti non contaminati e rimasti coerenti alla loro prima officina. Sotto questo aspetto la chiesa rappresenta dunque un unicum e vale una sosta nella bella piazza a godere della sua originalità: per poi magari visitarne l’interno e giocare a trovare motivi rococò, senza farsi mancare il museo dell’arte sacra che, tra calici, dipinti, pissidi e astensori, comprova la ricchezza di un convento incantevole esso stesso.

Articolo uscito il 20 ottobre su la Repubblica-Palermo