domenica 26 novembre 2017

Rossini, Bellini e Verdi insieme a Ragusa


Articolo uscito il 24 novembre 2017 su la Repubblica-Palermo

Nel tempo in cui gli scherzi erano una cosa seria, il barone Corrado Arezzo di Donnafugata, che nel suo palazzo estivo volle un parco punteggiato di trappole e trastulli, giochi d’acqua e labirinti d’erba, fece costruire nell’altra dimora nobiliare di Ragusa Ibla un teatro all’italiana, con tanto di doppio ordine di palchetti e buca d’orchestra, concepito anch’esso come una trovata che fosse una sorpresa e che, contando 98 posti appena, è oggi come allora noto per essere il più piccolo d’Italia e forse d’Europa, se la gara di misurazione in corso gli darà ragione.
Una meraviglia in miniatura a modo di bizzaria che l’attuale proprietà Di Quattro ha mutato da patrimonio privato in bene pubblico, provvedendolo per di più di un foyer che un tempo mancava perché ricevimento di benvenuto e ringraziamento di commiato si tenevano in salotto, quando il barone invitava gli amici per una serata a teatro senza uscire di casa. Di cui - del palazzo ovvero, che sormonta l’antico ed elitario Circolo di conversazione - tutt’oggi si favoleggia circa altri gioielli d’arte e d’arredo che sono però rimasti preclusi a qualsiasi vista.
Nondimeno, negli spazi di pertinenza del teatro, fino al 28 dicembre, è possibile visitare gratuitamente una triplice Wunderkammer che avrebbe trovato senz’altro il divertito compiacimento del trapassato padrone di casa. Al cui spirito di buontempone sarebbe apparso uno scherzo sopraffino il visore tridimensionale che viene offerto al pubblico per osservare a un passo Gioacchino Rossini muoversi e parlare mentre di Vincenzo Bellini e Giuseppe Verdi vedere le note danzare sugli spartiti e loro stessi sciorinare le redingote al suono delle musiche che deliziano le cuffie, davanti ad alambicchi, essenze, boccette e bibelot del bel mondo del camerino.
Esperienza di un minuto appena, per non avere il capogiro, ma da farsi come teletrasporto virtuale in un primo Ottocento che si ripropone nella grazia dei suoi maggiori compositori, ognuno a signoreggiare in una stanza come per intrattenere spettatori ad una prima. E forse per cogliere dell’impareggiabile avo anche l’occhio del collezionista e l’orecchio del melomane, le sorelle Costanza e Vicky Di Quattro (ultime di una linea di discendenza tutta femminile – questa però da vedere come scherzo del destino) hanno pensato di mettere in mostra, per la prima volta in assoluto, anche due pagine manoscritte di Vincenzo Bellini che formano l’incipit originario (e poi variato) del coro dei “Montecchi e Capuleti”, pezzo aureo della collezione Arezzo gelosissimamente custodito.
Costanza e Vicky Di Quattro
Poi ecco i costumi di scena avuti in prestito dai grandi teatri italiani (la Scala di Milano, il Massimo di Palermo e il Bellini di Catania), l’abito di gala del “Cigno” etneo, le scarpette di Giuditta Pasta e Maria Malibran, supreme soprano della lirica nazionale: il tutto nel ridosso di un teatro in formato ridotto mirabilmente in consonanza con lo spirito del tempo. 
Non inganni l’elusivo titolo dato civettuolamente alla mostra, “La calunnia è un venticello”, citazione del “Barbiere di Siviglia”, né vellichi prudori il tema sotteso delle amanti dei tre musicisti in taccia di ispiratrici delle loro opere (da Isabella Colbran a Olympe Pélissier, da Giuditta Turina a Giuseppina Strepponi), perché non è la ricerca del pettegolezzo o magari del lezzo d’alcova la chiave di questa rassegna, giacché di fedifraghi fu ben traboccante il teatro dell’Ottocento, già nella Parigi di Balzac e Zola, e perché suvvia non può essere certo accostato il casto e prudente Verdi all’insaziabile e spregiudicato Bellini, ma è l’aria che si respira a fare la cifra, un occhio a un corpetto di broccato e un altro a un palco damascato del teatro, aria naturalmente lirica che si sente quasi intonare ed echeggiare, mentre il barone Arezzo in severo giustacuore se la gode birbante tra i nuovi ospiti e i suoi vecchi merletti.