martedì 27 febbraio 2018

Cortei antimafia e marce antifasciste a Palermo



Un corteo convocato per l’affermazione di un ideale, che sia la lotta alla mafia o il rifiuto del fascismo, non può sfilare circondato dalla polizia in assetto antisommossa, che lo isola nel momento in cui lo scorta e che, impedendo attacchi altrui, in realtà ne inibisce ogni iniziativa.
La manifestazione di sabato 24 febbraio a Palermo contro tutti i fascismi si è svolta in un clima che evoca gli anni in cui le questure ne decidevano il percorso e la portata: un tempo che sapevamo storicizzato dall’avvento di uno spirito democratico entro il quale l’esercizio della libertà di espressione non potesse più sottostare al sospetto di un suo eccesso ed essere quindi esposto a condizionamento. 

Invece abbiamo visto quel tempo grigio ricrearsi nel cielo di una partecipazione popolare che, se ha agganciato la sensibilità siciliana a quella nazionale in fatto di difesa democratica, alla fine ha portato a rialzare i vecchi muri ideologici e liberticidi, dimentichi di un’acquisizione che sembrava definitiva, per la quale così come deve essere abbattuto se circonda un campo di concentramento, giusta la visione di Orwell, il muro anche più bello (nel nostro caso le forze dell’ordine) deve essere demolito se posto pur’anche a protezione di un giardino. Credevamo davvero che il concetto di manifestazione di protesta avesse lasciato il posto all’idea di manifestazione di proposta, ma dobbiamo prendere nota che siamo rimasti all’antitesi per cui in Italia, per giustificate questioni di ordine pubblico, si è liberi di scendere in piazza solo se non si è liberi di farlo da soli. Sennonché questo teorema registra nel capoluogo risvolti propri e delicati, degni di attenzione, dal momento che conosciamo l’eccezione, che a Palermo è la regola: cioè la libertà di svolgimento di un corteo antimafia.

Fermo restando che la polizia si è mobilitata con somma cautela e professionalità, fugando ogni possibilità di scontro e intervenendo in forze solo sulla base della tensione montata dopo l’aggressione di un neofascista, l’interrogativo da porsi è se ha ragione Giovanni Impastato a dire che la priorità del Paese è la lotta alla mafia e al fascismo e se perciò possano, proprio a Palermo, essere accostate e di conseguenza affrontate con la stessa coscienza civile un’emergenza permanente qual è la mafia e un rigurgito embrionale qual è il neofascismo. Che l’avviso venga peraltro da una vittima della mafia impensierisce non poco quanto al rischio che a Palermo si perda di vista il pericolo più incombente e minaccioso: avviso che nello stesso tempo offre motivo di chiedersi, da un lato, quando è stata l’ultima volta che si è visto un corteo di duemila persone sfilare per la città con la stessa animosità inscenata giorno 24 e, da un altro, se c’è mai stata una manifestazione antimafia così severamente posta sotto controllo e sotto protezione da parte della polizia. 
La presenza concomitante e momentanea di un avversario che comunque è solo politico e armeggia a poche centinaia di metri vale dunque, per determinare lo schieramento dello Stato in piazza, più dell’evanescente aleggiare di un nemico che invece è storico e compenetrato nel sistema sociale? Si può a Palermo unirsi in corteo inalberando cartelli e gridando slogan in segno di sfida dopo avere elevato fiaccole nel silenzio più mesto e in assenza di agenti in casco e sfollagente? Perché assistiamo a marce chiassose e processioni mute quando magari sono le stesse persone, animate dai migliori propositi, a rispondere a un bisogno collettivo di impegno etico? Insomma, la domanda è questa: mafia e fascismo sono mali da debellare a Palermo così come nel Paese o Palermo costituisce una variabile che, richiedendo altri approcci e soluzioni diverse, esclude il doppio forno valido altrove?
L’approssimarsi delle elezioni politiche ha certamente caricato di un significato drogato la duplice manifestazione del 24, ma forse è valso a scoperchiare ceneri che covano atteggiamenti sociali indotti a dire no a tutti i fascismi ma non a tutte le mafie. L’improvvisa ondata antifascista, associata a una minuscola recrudescenza squadrista, recupera sopite febbri di crescita comuni a tutti gli italiani e soddisfa una sentita istanza di sana difesa dei valori repubblicani, è vero, ma coglie una città che accorre in frenetico a spegnere gli incendi più lontani e perciò meno pericolosi anziché quelli più vicini e ostili. Tra il male acuto e quello cronico, il palermitano più avvertito sembra in allarme per il primo e fa come il tenente Dogo di Buzzati che si preoccupa dei Tartari e non si cura della malattia che finirà per ucciderlo.