domenica 14 gennaio 2018

Frassica e la grammatica del bi e del ba


Nino Frassica ama definire surreale il gioco combinatorio intramato sul significato delle parole, trovando nella loro molteplicità di accezioni la maniera per suscitare il sorriso attraverso il fraintendimento, l’antica arte aristofanesca e plautiana della fricassea linguistica che a teatro salta facile dal non-senso al doppio senso.  
Nel suo ultimo libro (Sani Gesualdi superstar, Mondadori, pp. 192, euro 17,50), un florilegio dei precedenti titoli con l’aggiunta di “nanetti” inediti, dove protagonista è l’immaginifico frate dell’immaginaria Scasazza, l’attore messinese sembra voler recuperare una tradizione e salvare un archetipo che da “Quelli della notte” ad oggi, trentadue anni dopo, si offre come cespite semantico e funge da cronotopo di un’Italia in contraggenio. Cosa è cambiato? Nulla parrebbe, se la Rai festeggia i trent’anni di “Indietro tutta” con due puntate che hanno il tono della celebrazione. 
«Non parlerei infatti di cambiamenti – dice Frassica. – Diciamo piuttosto che sono cresciuto e che mi sono sempre più specializzato nel genere del qui pro quo, che comunque è stato quello di partenza. Avevo infatti 19 anni quando a Messina facevo l’attore tetrale e, accanto alla commedia e alla farsa, mi esibivo nel parlato surreale. Quando a 34 anni è arrivato il successo, ho continuato a crescere e così anche oggi che di anni ne ho 67». 
Rampollando tra antifrasi e calembour e arrivando a costituire una grammatica del “bi” e del “ba”, ovvero dei modi di sottendere la lingua, che non è mai stata il siciliano, Frassica, alter ego di fra’ Sani Gesualdi o suo confrate, si è affermato come umorista che si sente stretto nelle vesti del comico con le quali è pur riconosciuto: un umorismo originario che si forma nella sua Messina, passando da una emittente televisiva e radiofonica a un’altra. Alla fine degli anni Settanta inventa alla Rtp una trasmissione che si intitola “Togorama” giocando sul significato naif di dandy del peloritano “togo”. Poi conduce un programma di poche puntate («Troppo surreale e non fu capito» ricorda) chiamato “Sguein” e nell’84 si esibisce in una trasmissione quotidiana che ogni sera paralizza Messina e Milazzo. La leggenda tramanda che fu in una di queste sere che Renzo Arbore, trovandosi in un ristorante messinese e vedendo tutti incollati al video, avrebbe chiesto perché ridessero. E gli fu spiegato che Nino Frassica conduceva un suo programma in diretta dieci minuti dopo le intermerate di uno sfrenato anchormen, Rino Piccione, che dalla sua emittente di Milazzo lanciava veleno contro i politici della città. Arbore avrebbe chiesto dove fosse la televisione e sarebbe andato a citofonare, volendo conoscere di persona quello che diventerà il suo “bravo presentatore”.
«La trasmissione – dice oggi Frassica – si chiamava “Quaglia o non quaglia?”, anche quello un bisticcio di parole sul nome di Piccione. Io lo ascoltavo e andavo dieci minuti dopo in onda parodiando e ribaltando quanto aveva appena detto. Ma non è vero che Arbore mi conobbe in quell’occasione perché già dal ’79 facevo radio con lui, Boncompagni e Marenco. Piccione mi querelò, tuttavia non andò avanti perché si rese conto che il mio era un umorismo soft, che non offendeva». Era anche un formidabile esercizio estemporaneo di teatro d’invenzione, una prova di grammelot che nell’espressione orale si è fatta strada ed è rimasta la sola.
Sani Gesualdi superstar trabocca di tali trovate d’inciampo lessicale e, a modo suo, racconta una storia tutta siciliana: quella di un monaco un po’ picaro e un po’ birbante che nel paesello di Scasazza («Una onomatopea giocata sulla reale contrada messinese di Casazza» precisa l’attore) porta la rivoluzione dei costumi e la modernità. Anche questo un gioco di contrasti.


Articolo uscito il 12 gennaio 2018 su la Repubblica-Palermo