lunedì 19 marzo 2018

Dove osano i vuturuna



Volavano da tempi immemori i “vuturuna” nel cielo di Alcara li Fusi, attorno al Crasto e al Traora, i monti che come falesie sormontano il paese sul Rosmarino e creano le correnti calde ascensionali necessarie ai grifoni per volteggiare. E vuturuna i pastori chiamarono gli avvoltoi della specie “gips fulvus”, unica colonia in Sicilia, perché li vedevano torcere il collo quando planavano sulle loro teste con ali di tre metri e dieci chili di peso o camminavano lungo le mulattiere dietro le mandrie accontentandosi di escrementi. Erano meno di una trentina e tra di essi si distingueva Noè al quale un pastore aveva legato una campanella e dato un nome salvifico. Aveva un difetto alare Noè e perciò veleggiava nei paraggi, sicché il trillo del campanellino si diffondeva nell’aria facendo credere al passaggio degli angeli o degli spiriti. 
Era un mondo incantato. I grifoni convivevano in armonia con gli alcaresi e l’aquila reale (ancora oggi signora dei Nebrodi), ma nel 1965 scomparvero come dinosauri e gli abitanti ne piansero la fine non sapendo quali dèmoni accusare, finché fu chiaro che la colpa era stata tutta loro avendo il Comune cosparso le campagne di polpette alla stricnina per debellare le volpi e difendere le “mànnare”. Mangiando solo carcasse, gli avvoltoi morirono anch’essi avvelenati insieme con cani e gatti randagi. La coscienza ecologista nazionale, Fulco Pratesi in testa, mostrò indignazione, ma finì per rassegnarsi e dimenticare. 
Non dimenticò invece un ornitologo di Randazzo, Angelo Priolo, che imbalsamava uccelli e soprattutto grifoni. Ne fece dono al Museo di scienze naturali del suo paese insieme con un diorama che ricorda tutt’oggi l’estinzione dei grifoni. Quarant’anni dopo, quel drammatico diorama spinse il Parco dei Nebrodi a importare dalla Spagna alcuni esemplari di grifoni e ripopolare così Monte Traora. Oggi i grifoni sono una novantina e si possono vedere veleggiare maestosi e superbi nel loro habitat primigenio. Seppure ogni giorno coprono distanze di decine di chilometri, passando dai Nebrodi alle Madonie e ai Peloritani, è sulle case di Alcara che hanno ristabilito la loro, perché è qui che si sono conservate le migliori condizioni di vita, grazie a un patrimonio zootecnico, tra bovini, ovini, suini ed equini, che garantisce una sussistenza abbondante all’insaziabile voracità di questi piccoli pachidermi dell’aria, autentiche fortezze volanti che non si muovono da sole come fanno i falchi e danno spettacolo solo a vederle in volo, ancorché molto meno a terra quando mangiano. Qui godono del silenzio dei boschi, di acque fresche naturali, di aria pulita e delle rocche che fanno loro da volano. Una grande uccelliera sotto il Traora ricorda il tempo in cui i primi capi furono importati e aiutati ad adattarsi. Oggi è dismessa perché i grifoni hanno riconquistato la loro terra e, anche se non sono più di discendenze autenticamente siciliane ma iberiche, gli alcaresi ne gioiscono scontando vecchi rimorsi. 
E’ stato istituito anche un “sentiero dei grifoni” che a fine maggio escursionisti del Cai riproporranno per il secondo anno offrendo un itinerario che simbolicamente parte dal diorama di Randazzo, dove si celebra la scomparsa dei vuturuna, e arriva alla voliera di Alcara che ne attesta il ritorno, percorrendo il Parco dei Nebrodi per quattro giorni in altrettante tappe, lungo sessanta chilometri alla fine dei quali i trekker vedranno gli avvoltoi librarsi come piccoli draghi nella solennità della loro narrazione: un autentico storytelling che racconta per suggestioni ed evocazioni una storia vera e a lieto fine. La quale richiede una sosta, come in un luogo della memoria, anche a Baratta, la zona sotto le rocche dove i grifoni di un tempo nidificavano e Noè era diventato il compagno dei pastori e dei contadini. Dicono che a stare zitti si possa ancora sentire la campanella echeggiare. E’ un invito a vedere negli avvoltoi non i lugubri uccellacci del Far West ma gli eterei lari di una Sicilia millenaria che culla i suoi miti nel brivido della leggenda.

Articolo uscito su la Repubblica-Palermo il 16 marzo 2018