domenica 1 aprile 2018

Ainis alla ricerca di Messina


Come Silvestro di Vittorini, anche Diego di Michele Ainis è colto da “astratti furori” che dalla Padania lo risospingono nella sua Sicilia per una “conversazione” cominciata su un treno e proseguita sul ferryboat, nello Stretto dove ‘Ndria Cambria di D’Arrigo muore in barca senza raggiungere Punta Faro.
Diego invece approda a Messina e affronta una conversazione, con se stesso e la città, che ha i caratteri di una quête, una ricerca spirituale lungo un percorso topografico che di Messina coglie i simboli, i misteri e le angosce ancestrali. Ainis (messinese, noto costituzionalista, editorialista di Repubblica e docente a Roma) si misura ancora una volta, dopo Doppio riflesso, il suo primo romanzo, con un Doppelgänger che stavolta si mostra nell’aspetto di una città duplicata sul cui teatro anche le persone, a cominciare dallo stesso Diego, si raddoppiano e perciò si smarriscono. Risa (La nave di Teseo, pp. 160, euro 16) racconta un viaggio, che da reale diventa sempre più interiore, alla ricerca del fratello che è scomparso, al pari di alcuni edifici storici e della leggendaria città preellenica di Risa sprofondata nel lago piccolo di Ganzirri a seguito di un catastrofico terremoto e tuttavia ancora viva in figura di città cannibale che divora le spoglie di Messina. 

Il terremoto come dannazione compenetrata alla città è causa delle cancellazioni (nello spirito di un altro messinese, Emilio Isgrò, pittore di Barcellona) non solo di cose e persone ma anche della memoria collettiva, lo stato permanente di microscosse sismiche altro non essendo che effetto non della crosta terrestre instabile ma della “crosta mentale” dei messinesi, in ognuno dei quali alberga l’ombra di Nettuno, un’onda tellurica trattenuta a fatica che è oggetto di competizione tra la città sommersa e quella emersa nella cui disputa è la prima a prendere sempre più il sopravvento. 
La perdità dell’identità, fonte di precarietà che muta una zona sismica in zona socio-psicologica di massa e instilla in ciascun individuo un caustico processo di frantumazione dell’io e di rimozione della memoria, portando da Pirandello a un altro messinese, Vincenzo Consolo, è un tema che Ainis vede come correlato a una città che diventa metafora dell’Italia: «Il decadimento di Messina è progressivo - dice. - Sono molto legato alla mia città, un tempo così vivace e culturalmente ricca, e ne vivo la continua cancellazione e il rimpicciolimento un po’ come per l’intero Paese: con la differenza che a Messina questo fenomeno di sottrazione si vede a occhi nudi. I terremoti ne sono certamente la causa originaria perché tengono i messinesi nel continuo timore di un pericolo immane, come se la paura fosse nella loro natura, al punto da lasciarmi immaginare nel romanzo che sono essi stessi, con le loro perturbazioni, a provocarli. Alla forza di ricominciare sempre dimostrata è subentrata nel tempo la rassegnazione: per due volte la Palazzata è stata infatti ricostruita, ma nel 1908 non è stato più così. L’ultimo terremoto ha scritto la pagina finale della storia della città, che oggi appare sconfitta». 
Vincerà dunque Risa che fagociterà Messina? L’epicedio che sembra intonare Ainis per la città confonde tuttavia il canto con l’epinicio levato in omaggio allo Stretto, un patrimonio mitologico miracolosamente conservato e devotamente ammirato da far supporre nell’autore un’avversione al Ponte nuovamente in programma che lo sconvolgerebbe. «Sono sempre stato assolutamente contrario al Ponte. Viviamo in un tempo di contiguità geografica in cui tutto finisce per amalgamarsi, perciò è necessario mantenere le distanze per conservare l’integrità, che è quanto deve fare la Sicilia». 
Il romanzo diventa quindi un manifesto per la salvaguardia della bellezza entro un atteggiamento di rispetto persino verso i terremoti e gli “accidenti climatici” che sullo Stretto si verificano non più ad ogni generazione, ma sono sempre più ricorrenti e simultanei, dalla Contessa del vento all’Arcobaleno lunare, dalla Pioggia di sangue alla Murina al Fiume di nebbia, “eco anticipatrice del terremoto che verrà e che forse sta spumeggiando nelle profondità abissali dello Stretto”. 
Ma Risa è anche un baedeker alla scoperta della Messina più segreta: a cominciare proprio dalla favolosa città sommersa. «Ho letto una quarantina di libri sullo Stretto per scrivere questo - dice Ainis - e mi sono affidato ai racconti che ascoltavo da ragazzo. Il terremoto che cancellò Risa, dal nome della regina della città tutta bianca e di marmo, creò una conca che poi si riempì d’acqua diventando un lago. Non sono state mai fatte ricerche di tipo scientifico e non ci sono perciò prove vere della sua esistenza. Ma a Messina sappiamo che c’è o ci piace saperlo. Lo sanno soprattutto i pescatori che credono di sentire le campane al cui suono, proveniente dal fondo, non escono mai per mare perché annunciano tempesta». Ma non conta la verità. “Il vero e il falso si sono uniti in matrimonio qui a Messina“ pensa Diego, il protagonista, anche lui destinato a essere un doppio di realtà e immaginazione.

Articolo uscito il 31 marzo 2018 su la Repubblica-Palermo