giovedì 3 maggio 2018

La lava serve soprattutto in cucina


C’erano una volta abili artigiani che lavoravano la pietra lavica e ne facevano suppellettili, icone sacre, souvernir dell’Etna per poi andarli a vendere nelle piazze delle città del Nord, Milano soprattutto, dove attraevano per il loro pittoresco, scalpellini e manufatti insieme. Chi voleva poteva vederci tanti Efesto con il campionario delle loro fucine. Erano Madonne ingrottate nella lava, scarabattole in pietra nera, pastori e contadini riprodotti nelle sciare, presepi nel rosso di una colata. Considerati pezzi di arredamento, valevano innanzitutto come reperti anche antidiluviani dell’unico vulcano attivo in Italia. 
Un giorno del 2013 un rappresentante del settore arredamento, Seby Di Mauro, catanese, comincia però a guardare l’Etna e le sue pietre preziose con un occhio diverso, diciamo più in linea con i tempi e con l’invalente gusto che più che all’esotico guarda alla personalizzazione, così lascia il commercio e si dà all’industria. Nasce Pietracolata, un’azienda che, consacrata al Fuorisalone del mobile di Milano di metà aprile, la sua prima uscita ufficiale di rappresentanza, ha affermato in questi anni un concept che ha destato forte interesse: la lava dell’Etna come materiale per arredo da cucina, piatti, sottopiatti, portapane e portabicchieri. Un’idea elementare ma geniale nella sintesi che sottende tra pezzo naturale e prodotto culturale e nel superamento dell’idea di sfruttamento artigianale della colata a favore di una concezione artistica del suo utilizzo. 
«Nelle cave dell’Etna – spiega Di Mauro – estraiamo massi di lava che le nostre segherie trasformano sul posto in lastre di due o tre centimetri. Queste lastre vengono poi trasferite in uno stabilimento attrezzato che abbiamo rilevato a Chiaramonte Gulfi e lì, secondo le commesse che riceviamo, diventano articoli da cucina nelle mani dei nostri tecnici». Il set non a caso si chiama “Fucina”, a evocazione di Efesto e a richiamo della cucina di casa. 
Ma il fatto nuovo si ha con l’intervento di un designer di Caltagirone, Andrea Branciforti, che conduce una fabbrica di ceramica ma che ha già decorato prodotti di lava. Cambia il materiale ma uguale restano la creazione artistica e la vocazione tutta siciliana ad allearsi con la natura. Dall’incontro e dall’intesa con Di Mauro nasce la collezione “Casting e Agate” che ha conquistato il Fuorisalone: la colata associata al simbolo del mondo etneo che è la patrona di Catania, più volte implorata nei secoli per fermare la lava, anche quando nel 1669 il fiume di magma arrivò imperterrito fino a mare. La disastrosa eruzione è quella che, in una mappa americana dove le colate della storia sono segnate con colori diversi, più attira Branciforti: quando accetta di decorare gli articoli Pietracolata, se ne ricorda e la riproduce come una macchia rossa nei piatti tinti del nero dell’Etna. Non solo il vulcano, ma utilizzando soltanto il rosso e il bianco, Branciforti graficizza anche la pianta di Castello Ursino, la fontana dei Benedettini e il seno di Sant’Agata, offrendo a Catania un palcoscenico internazionale sul quale la visione si muta in un visibilio. 
Il set da tavola da lui firmato impreziosce così la collezione Pietracolata e ne fa un suggestivo storytelling, la rappresentazione della storia dell’Etna e della sua città trasfigurata in linee e cerchi di stilizzazione e originalità, proponendo un nuovo modo di guardare il fondo del piatto vuoto, trascolorato che è in un cosmorama dentro il quale si proietta lo spirito profondo di Catania e del suo vulcano, un modello da divulgare nel mondo che diventa un brand unico, Made in Sicily impossibile da contraffare perché l’Etna è solo qui. 
«Ho preso in mano i piatti di Pietracolata – dice Branciforti – e ho apportato qualche cambiamento, a cominciare dalla forma non più quadrata. Ho lasciato però sui bordi il taglio della pietra naturale così da dare una sensazione tattile più analogica e ho voluto conferire al rosso un volume in rilievo e al bianco una stesura in stencil, creando un contrasto bello a vedersi». 
In Di Mauro e Branciforti si sono ritrovati l’imprenditore e il creativo, che non a caso si sono conosciuti in una manifestazione intitolata “Made in Sicily”, meta e ripartenza di due esperienze diverse ma complementari, utilità e design: fonte di una joint-venture che potrebbe durare anche oltre il Fuorisalone per costituirsi nel nerbo di due siciliani di successo e nel verbo di una terra fucina di bellezza.

Articolo uscito giorno 1 maggio su la Repubblica-Palermo