sabato 14 luglio 2018

La Sicilia in treno, vista dal finestrino



Solo quando si sono trovati in treno nella Piana di Catania si sono resi conto della maestosità dell’Etna. Prima ne hanno fatto il periplo, sono arrivati a quota mille, vi hanno pure dimorato, ma la sua bellezza l’hanno colta solo da lontano. Come per un quadro.
E come per la Sicilia: che solo a due viaggiatori forestieri poteva offrire aspetti sconosciuti ai siciliani. Conquistati all’idea di percorrere l’isola in treno dalla maledizione che colpisce le Ferrovie, in Sicilia Express (Exòrma, pp. 189, euro 15,50) Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, entrambi di San Benedetto del Tronto, hanno voluto esorcizzarla, confessando che «il vero turista ferroviario non teme i ritardi, gli scioperi del personale viaggiante o dei macchinisti; non teme la cancellazione dei treni o l’orario ridotto della domenica; non teme neanche i bus sostitutivi: lui teme solo il tramonto che piomba all’improvviso oscurando il paesaggio fuori dal finestrino». 
Sebbene siano sempre meno quanti vi salgono, chi ama il treno non vorrebbe mai scendere perché la Sicilia che vede è un’altra rispetto a quella, oggi comune, che appare dal finestrino di un’auto. E’ la Sicilia dell’epopea: delle stazioncine rosse della Piana malarica, dei lunghi fischi notturni nelle novelle di Verga e Pirandello, dei compaesani di Sciascia, dei casellanti di Camilleri. 
«Nella vita di ogni siciliano c’è un treno perduto: che lo avrebbe portato lontano o riportato a casa» dice ai due autori Primo David, capostazione e ideatore del Museo di Villarosa, voluto per salvare la stazione dalla cancellazione: allestito il museo su delle carrozze dismesse, risvegliò la nostalgia degli emigrati sparsi in Europa inducendoli a tornare per le vacanze solo in treno. 
In realtà la storia delle Ferrovie siciliane è fatta di soppressioni continue di linee, trasformate in piste ciclabili e itinerari trekking, di stazioni, vagoni e macchinari divenuti patrimonio storico e dunque museale, oggetto oggi di esposizioni permanenti a Villarosa, a Messina, a Roccapalumba, tutte opera di ferrovieri e non delle Ferrovie – ma chi ama queste non può in Sicilia non amare quelli. Senza un piano di recupero turistico, le linee soprattutto delle Ferrovie secondarie sono destinate, come è stato per le trazzere, all’abbandono e alla distruzione. Sono nati il “treno del barocco” che corre nel Val di Noto, il “treno dei templi” nell’Agrigentino, il treno “Scala dei turchi express” da Palermo a Porto Empedocle, ma la concorrenza del gommato è spietata. Eppure una partita il treno l’ha vinta, con l’istituzione dei “Regionali veloci”, arrivati dopo il crollo del viadotto Himera e impiegati come sostitutivi del pullman. Sono ancora in esercizio e fanno sperare, ma rimane senza risposta la domanda di due turiste cinesi che ad Agrigento non riescono a capire perché debbano prendere tre treni per andare a Catania. 
Cose dell’altro mondo? Sì, ma di un mondo nel quale il bigliettaio ti informa quando sei arrivato, l’entroterra siciliano rivela quanto la notte sia buio attraversandolo in treno, la follia ingegneristica concepisce la linea elicoidale che porta alla stazione di Ragusa e le gallerie a rischio di crollo prima di quella di Agrigento, il macchinista aspetta il viaggiatore abituale in ritardo. E proprio di viaggiatori abituali vivono i treni siciliani, ciò che comporta però un’equazione storica: più una linea è utilizzata dagli stessi utenti e prima cessa di esistere. Un’altra maledizione. 
Merlini e Silvestri, uno sommelier e l’altro traveler, sono partiti da Messina e sono arrivati a Trapani prendendo tutti i treni, contenti dei contrattempi, dei guasti, delle fermate prolungate, dei continui scambi, scendendo alle stazioni anche abbandonate e uscendo per vedere il mondo dietro di esse, come crocieristi che raccontano non solo la vita a bordo ma anche i posti che, sbarcando a ogni porto, hanno visitato, conoscendone anche i prodotti gastronomici e il cibo da strada, le panelle e le arancine, nell’idea che in Sicilia esso «è un modo per vivere sia il cibo che la strada». 
Intendendo dare un rapporto sulle Ferrovie siciliane e insieme una rappresentazione aggiornata della vita in Sicilia, si sono preparati con cura anzitempo, come per un viaggio in una terra remota e un po’ desolata, studiando percorsi e prendendo contatti e appuntamento con ferrovieri, produttori vinicoli, agrari, operatori economici, convinti che «prima di partire per un viaggio in Sicilia bisogna sforzarsi di fare una selezione a priori evitando il rischio, volendo vedere tutto, di non vedere niente». Ma c’è da credere che il loro interesse preminente sia stato di non perdersi niente di quanto fosse possibile vedere dal solo finestrino di uno scompartimento. Come anche è da pensare che i treni in Sicilia siano rimasti quelle strane carovane che, all’arrivo del primo convoglio a Racalmuto, un personaggio di Sciascia, giudicando impossibile che fosse una locomotiva a trainarlo, sbottò: «“Nun mi futtunu, dintra ci su i cavaddri».

Articolo uscito il 14 luglio 2018 su la Repubblica-Palermo