sabato 22 dicembre 2018

Impressionisti e Dalì, a Catania due mostre in sequenza



Il caso ha voluto che due grandi mostre capitassero in concomitanza a Catania prestandosi a fare una da prosieguo ipotetico all’altra, se si accetta l’idea che Salvador Dalì prese il testimone dalle tavolozze degli impressionisti per portare il gusto anti-accademico al surrealismo. La prima è esposta fino al 10 febbraio a Castello Ursino, la seconda a Palazzo Platamone e chiuderà il 21 aprile.
Si può ben parlare di grandi eventi, benché in entrambe manchino i capolavori più riconoscibili del repertorio daliniano e del canone impressionistico. Tuttavia offrono motivi di forte interesse: quella del pittore spagnolo, non a caso intitolata “Io Dalì”, perché richiama l’attenzione sull’artista più che sulla sua produzione, nel segno di un atto di nascita del surrealismo, dallo stesso Dalì rivendicato, riconducibile alla sua personale attività; quella degli impressionisti perché si scopre che, al di là dello snobismo professato verso quanto non fosse olio su tela, amarono anzichenò l’arte dell’incisione profondendosi con slancio nella tecnica in bianconero del calco e stampo, come anche nel disegno, nella grafica e nel pastello. Richiedono certamente una e l’altra un diverso accostamento, ma si possono visitare in sequenza.

GLI IMPRESSIONISTI AL COMPLETO

La mostra dell’en plein air ha fatto l’en plen contando quasi duecento opere e la presenza di tutti gli artisti appartenuti a quella bruciante temperie che cavalcò due secoli ed esaltò la Belle Époque nello spirito del cambiamento. Mai s’era vista in Italia una galleria di impressionisti così numerosa: un record nazionale nell’allestimento di mostre d’arte che premia un movimento ancora oggi capace di esercitare un forte fascino sul pubblico italiano.
Delle otto esposizioni che Parigi dedicò agli impressionisti, un’eco risuona nella rassegna etnea giacché sembra comprenderle tutte nel nome di profeti come Manet, Monet, Pissarro, Renoir, Degas, ma anche di affiliati come Van Gogh, Cézanne, Gauguin che l’impressionismo frequentarono lontano dalla Senna e di precursori quali Courbet e Delacroix che lo anticiparono assestando i primi colpi di maglio al neoclassicismo caro all’accademia ufficiale. Più che il solo impressionismo, la mostra copre allora una stagione più lunga e variegata, fatta di fermenti diversi nei quali possono rientrare anche un illustratore come Gustave Doré che molto lavorò per strada, un romantico naturalista quale Théodore Géricault pur scomparso quarant’anni prima dell’inaugurale Salon des refusée, il pugliese Giuseppe De Nittis, più macchiaiolo che impressionista e tanti altri artisti che allo stile impressionista diedero il loro sostegno riconoscendone la novità. La mostra ha insomma questo di singolare: che consente un viaggio a Parigi nel tempo in cui dire Parigi era dire Montmartre.

DALÌ, IPERTROFIA DELL’IO

Più che un’officina, la mostra che espone 16 dipinti, 21 opere su carta, 24 video, 86 fotografie e 29 riviste si propone come un laboratorio dove Dalì ha costruito se stesso, per modo che non è tanto la sua opera ad attrarre quanto la sua figura. Che l’artista concepì in effetti come un’opera d’arte o prova estetica chiamata a celebrare il gesto stravagante, il gusto insolito e il genio eclettico tra Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio, ma nella sfera del visionario e dell’onirico, senza contaminazioni con la realtà. A Castello Ursino Dalì aleggia sulle sue opere e si posa soprattutto sui documenti che ne attestano la vita sopra le righe e ne svelano anche i recessi più segreti e poco conosciuti, dando evidente conto di quanto il suo tempo lo abbia tenuto sugli altari e negli onori tributandogli il rango di mago dell’arte e dell’artificio: quasi che si possa dire – e la mostra catanese induce a crederlo – che non ci sarebbe stato un surrealismo daliniano né lo stesso Dalì se il maestro catalano non fosse stato quello che l’immaginario comune conosce attraverso le sue pose eccentriche, i frizzi e i lazzi.
Sicché questa mostra può essere seguita lungo due percorsi che si intrecciano, delle opere e dei giorni, perché c’è la vita dell’autore ma ci sono anche i suoi lavori – gli oli, i disegni, le incisioni – non a caso legati a un tempo lungo nel cui arco trova spazio anche la vicenda personale.


Articolo uscito il 21 dicembre 2018 su la Repubblica-Palermo