giovedì 24 gennaio 2019

Quando lo Stabile di Catania disse no a Sciascia



Scrivendo per il suo “Almanacco siciliano” del 1969 la nota biografica su Sciascia, il poeta di Linguaglossa Santo Calì, fine saggista e attento osservatore della vita culturale siciliana, circonfuse nel mistero le ragioni per le quali il Teatro Stabile di Catania, dopo averlo inserito nel cartellone della stagione ‘64-65, non rappresentò L’onorevole
Calì scrive nel 1968, appena tre anni dopo l’uscita da Einaudi di quello che chiama “dramma” e che Sciascia definisce “commedia che non è una commedia”; e giacché dell’annullamento precisa che “i motivi sono rimasti pochi chiari”, mostra per questo solo di avere svolto qualche indagine o di avere perlomeno immaginato qualche ipotesi, ma preferisce non rendere quei motivi “pienamente chiari”.
E se Calì arriva a definire poco chiaro (come dire: alquanto evidente) l’annullamento del dramma sciasciano è certamente perché ha letto in filigrana (id est nella chiave giusta) la nota introduttiva che lo stesso Sciascia ha premesso nel ‘65 al testo teatrale Einaudi, voluta in funzione di excusatio per sviare le supposizioni (che non devono essere state poche) circa l’identificazione dell’onorevole, figura, dice Sciascia, frutto di immaginazione senza riferimento a persone e fatti.
Avendo tutto il sapore di una arrière pensée (ancora più evidente laddove Sciascia “avverte” che Frangipane è democristiano e appartiene alla Sicilia occidentale solo “per comodità”), la nota introduttiva è quanto mai esplicita se letta con la lente giusta. Sciascia la scrive sugli esiti e a ridosso di un fatto imprevisto al momento della stesura del testo: la presa di conoscenza del probabile annullamento della rappresentazione da parte dello Stabile unicamente per il quale ha scritto il testo. Dopo il successo di due anni prima di Il giorno della civetta, lo Stabile di Catania, come rivelerà la moglie Maria Andronico, “gli richiede un soggetto espressamente teatrale sullo stesso tema della mafia”. E Sciascia (che di Mario Giusti è diventato amico al punto da vedersi commissionare un testo da rappresentare subito, senza neppure che sia vagliato) lo scrive in sette giorni nell’agosto del 1964, quando il cartellone dell’imminente stagione è già stato reso noto, Lo scrittore ammette nella sua nota che avrebbe “potuto lavorarci un po’ di più”, ma i tempi della consegna ai fini dell’allestimento sono stretti: “Lavoriamo alla giornata e per la giornata”. Ne nasce un dramma che si scioglie in una sotie, con un arrangiamento che molto pirandellianamente si disgrega nelle ultime scene, isterilendo la tensione che la vicenda sta preparando.
Il dramma si risolve infatti in uno “scherzo”, uno sketch dice l'autore, quasi un siparietto, ritrattazione che è nuova nel treatment sciasciano, dettata forse dalla preoccupazione di épater les bourgeois col portare in scena una rappresentazione troppo realistica, tale da poter dispiacere l’amico Giusti. Il quale infatti è costretto a telefonargli mettendolo a parte della necessità di cancellare L’onorevole dal cartellone. Perché? Perché Sciascia, dando nuova prova delle sue capacità divinatorie, stavolta del tutto casuali, ha inventato un onorevole che già esiste: un professore di liceo che diventa deputato nazionale proprio nella Dc. Si può dunque ben comprendere perché nella sua nota introduttiva Sciascia scrive che “il destino di questa commedia è forse soltanto quello della lettura”, il destino essendo evidentemente stato un altro: quello della scena.
In realtà Sciascia scrive L’onorevole per il teatro e offre il testo a Einaudi quando la situazione evolve verso il suo rifiuto, ma, non essendosi avuto ancora l’annullamento ufficiale, nella sua nota mantiene un “forse” nato dalla circostanza che L’onorevole viene pur provato dagli attori dello Stabile. Ne darà conferma Tuccio Musumeci, secondo il quale l’annullamento fu dovuto esclusivamente a ragioni tecniche: “Provammo per due o tre giorni, ma poi ci rendemmo conto che teatralmente non funzionava. Nel ’65 il teatro era ancora quello tradizionale, con le porte, così come lo vedeva la gente, senza le pedane e le scene movibili, senza che facesse cultura come oggi. Prima del ’65 avevamo fatto Il giorno della civetta e I mafiusi di la Vicaria di Palermo di Rizzotto e Mosca, insomma avevamo già affrontato il tema della mafia. Se piuttosto un’opera fu annullata per motivi politici questa fu Gli industriali del ficodindia di Simili, perché mascherava un attacco alla Regione sui sovvenzionamenti d’oro”.
Eppure L’onorevole ha avuto più messinscene, fra cui (dopo la scomparsa dello scrittore) anche nella piazza di Racalmuto, dove le difficoltà tecniche legate alla “disgregazione che avviene nelle ultime scene”, con uno schermo ex machina che proietti immagini di Bergman, Vitti e De Sica al Festival di Venezia insieme con l’onorevole Frangipane e la moglie, furono agevolmente superate con trovate sceniche alternative. Cionondimeno può darsi che a ragioni politiche si fossero sommate ragioni viste come tecniche. Certo è che Sciascia sentì di avvertire il lettore di non cercare di identificare Frangipane, immaginando che fosse tuttavia inevitabile e tale da impedirne la rappresentazione.
Ma L’onorevole non è soltanto, come scrive Sciascia nell’introduzione Einaudi, il tentativo di “misurare le censure istituzionali, ambientali e psicologiche del nostro Paese”. Non è quindi la sola e cruda rappresentazione del disfacimento di una famiglia, “simbolo di una corruzione più vasta”, quella della società. E’ anche un elogio della letteratura di cui Sciascia afferma il primato sulla realtà – libri e realtà essendo visivi da “spinosi confini”. L’onorevole, che ebbro di potere pensa soltanto a come battere il suo avversario di partito, è il rovescio del professore che, prima della candidatura, ha avuto un solo pensiero: quello di tradurre Lucrezio. Nel ribaltamento dei suoi interessi la moglie ne individua il disfacimento mentre la lettura del Don Chisciotte (le livre de chevet del marito di un tempo e ora, per “reversibilità”, divenuto il proprio breviario) le fa presagire l’arresto del consorte, che non governa come Sancio, cioè come un angelo che lascia il potere nudo. La “pazzia” di Assunta (unica donna nell’opera Sciascia “assunta” come portavoce) è vista dallo stesso marito nella lettura ossessiva del Chisciotte, il libro per eccellenza dei sogni, che diviene il suo rifugio contro il tralignamento dell’intera famiglia, trascinata in un vortice di onnipotenza e di opulenza al fondo del quale per la donna (“personaggio larvatico con un certo carico di improbabilità e di convenzionalità”) balugina la rovina. Non c’è chi non veda come le ossessioni di Assunta, che teme da un momento all’altro l’arresto del marito che sa corrotto perché ne conosce tutti i conti, precorrano il Totentanz di “Mani pulite”, sicché non a caso Sciascia, datando il terzo atto nel 1964, aggiunge tra parentesi un 1974 che postula l’iterazione dei fatti nel tempo, la cristallizzazione in sostanza del fenomeno, per modo che i riferimenti al quadro generale del Paese sono più che evidenti. Le date che segnano le tappe del successo dell’onorevole sciasciano (1948, 1953, 1964) corrispondono a stagioni cruciali della vita politica nazionale: l’affermazione del Blocco del popolo, la vittoria dimidiata con la legge-truffa e l’operazione De Lorenzo, proprio in concomitanza della quale Sciascia, profondamente turbato, scrisse il testo. Turbamento che colse anche i dirigenti dello Stabile , ma per ben diversi motivi.