giovedì 11 agosto 2016

Bufalino e la moglie, promessi sposi e mancati coniugi

Bufalino con la moglie Giovanna Leggio

Non fu un matrimonio felice quello tra Gesualdo Bufalino e Giovanna Leggio, ma fu una bellissima storia d’amore: lunghissima e tormentata, funestata dalla malattia e dalla morte, epperò sublimata dall’attesa e dalla solitudine, tutti temi frequentatissimi dallo scrittore.
Lo scorso giugno, nel ventennale della morte del suo Dino, Giovanna Leggio è stata per l’ennesima volta al cimitero di Comiso, come quasi ogni domenica, magari a chiedersi ancora una volta il perché di quell’epitaffio così nichilista, “Hic situs, luce finita”: eppure lui l’aveva sposata in chiesa partecipando pure ai corsi preparatori, aveva raggiunto padre Farruggio in sacrestia dopo la funzione per discuterne l’omelia, aveva regalato al suo autista una Bibbia e a una suora un libro con l’ammissione nella dedica di essere un “uomo di ricerca” e infine aveva lasciato a un amico un testo inedito circonfuso misteriosamente di un autentico sentimento di fede. Davanti alla tomba sormontata da una croce che Dino aveva accettato dopo aver saputo che il nonno, ateo come lui, aveva fatto altrettanto, Giovanna deve avere ricordato un altro periodo durato venti anni, quello dalla rottura del fidanzamento al matrimonio, e si sarà chiesta chi è stato veramente l’unico uomo della sua vita, l’unico maestro dal quale imparare, l’unico scrittore che valesse leggere.
La memoria deve essere andata al 1958 e a una classe della seconda magistrale di Vittoria dove Bufalino insegnava italiano e, spiegando autori come Chateaubriand e Baudelaire, guardava lei, l’allieva più bella e attenta, ardentemente ricambiato. La grande differenza di età non costituì alcun deterrente, sicché qualche anno dopo il maestro e l’alunna si fidanzano ufficialmente con tanto di richiesta di mano e i parenti di lui in casa di lei. Dino le regala financo una parure comprata a Ragusa in compagnia di un’amica che lo consiglia. 
Ma il fidanzamento dura qualche giorno appena, perché soprattutto il padre di lui, ma anche la gelosissima madre alla quale Dino è fin troppo legato, non sopporta un’unione così irregolare nella quale il futuro marito sarebbe sembrato il padre. Dino, succube dei genitori, obbedisce e rompe il fidanzamento. Ma non cercherà in nessun modo di accasarsi in maniera più conforme e gradita ai genitori. Nemmeno lei valuterà qualche proposta diversa. Si perdono anche di vista, ma non si dimenticano. 
Giovanna diventa una Penelope e tanti anni dopo torna nello stesso Magistrale come insegnante, quando Dino è andato ormai in pensione e si appresta a diventare un famoso scrittore. Hanno una promessa tacita da mantenere e si ritrovano quando muore il padre di lui, che ha costituito il vero impedimento: è il 1981, l’anno del Campiello, così un anno dopo Dino e Giovanna si uniscono “in prudentissime nozze - scriverà Bufalino - premeditate per quasi un quarto di secolo”. Bufalino è contento quanto lei. Al ricevimento di nozze distribuisce agli invitati un libretto di massime propiziatorie: sessantadue arguzie quanti sono i suoi anni.
La madre di Bufalino e la moglie il giorno dei funerali in chiesa
Ma non sono destinati a vivere felici e contenti. La madre di lui mal sopporta la nuora in casa e nascono contrasti, finché un ictus colpisce Giovanna e costringe Dino a prendere una decisione: dovendo badare alla madre ormai anziana e non sentendosi di dovere assistere anche la moglie inferma, invita Giovanna a tornare a Vittoria e vivere dai suoi. Va a trovarla tre volte la settimana e tre volte al giorno, puntualmente alle 9, alle 15 e alle 18, le telefona trattenendosi a parlare dei suoi libri e dei suoi progressivi successi. Si amano, ma sono due anime destinate più a pensarsi che a vivere insieme. Nel 1995, un anno prima della morte, per il 75esimo compleanno, l’allora sindaco di Valverde Angelo Scandurra promuove una festa. Bufalino chiede a chi scrive di accompagnarlo perché Carmelo Barone, il suo “automedonte” (l'autista che guiderà la Fiat 127 dove lo scrittore troverà la morte), è indisponibile. Esprime il desiderio di avere con sé anche la moglie, che è felicissima di stare una sera con il marito. Sia all’andata che al ritorno, lo scrittore chiede più volte di poter usare il cellulare per chiamare la madre e accertarsi che stia bene. Una vera fissazione il pensiero di averla lasciata sola. Telefona pure a un vicino di casa perché vada a controllare che non abbia bisogno di nulla. Per arrivare quanto prima a casa, al ritorno chiede di essere lasciato per primo a Comiso e di portare poi la moglie a Vittoria, segno forse di una preferenza per la madre lasciata troppo tempo da sola e di una rinuncia a stare qualche minuto in più con la moglie. 
La sua ossessione è di morire prima della madre, eventualità che ascrive a un caso di “morte violenta” perché innaturale. Ma è proprio quello che succederà presto. Bufalino muore esattamente a metà strada tra Comiso e Vittoria, dopo essere andato a trovare la moglie: proprio alla stessa distanza tra la madre e la moglie, le sue uniche donne. L’ultimo pensiero, nonché le ultime parole, ai soccorritori dopo l'incidente stradale, sono per la madre: “Minimizzate con mia madre, minimizzate”. Soccorso all'ospedale di Vittoria e non a quello di Comiso, quasi che il destino volesse parteggiare per Giovanna, viene tenuto su una sedia a rotelle con una prima diagnosi di trauma e di frattura al braccio. Nessuno si accorge, nell'attesa di essere visto dai medici, che lo coglie un infarto e muore: nel paese della moglie.