mercoledì 14 settembre 2016

I grillini siciliani nati dai forconi





Quanto Cinquestelle deve in Sicilia alle forze spontanee che hanno sostenuto il malcontento e l’antipolitica, espressione di un mondo collassato di cui però sopravvivono, immutati nel tempo, l’orbita e i frantumi?
Un mondo separato quello siciliano perché, se in continente il movimento di Grillo è stato il fatto nuovo cui è spettato come tale di sostituirsi a quello di Di Pietro e rilanciare l’istanza di cambiamento esercitata ancor prima da Forza Italia e, sugli ultimi colpi di coda della Prima repubblica, dalla “maggioranza silenziosa”, in Sicilia il grillismo si è valso sì delle stesse aspettative di rinnovamento ma reinterpretandole alla luce delle esperienze esclusive che per ultimi i forconi - e a ritroso la Rete di Orlando e prima ancora l’indipendentismo - hanno offerto sull’altare dei processi di uguaglianza sociale e di rivendicazione economica.
È certamente un fatto che al di là e al di qua del Faro i movimenti di protesta, rigurgito di una coscienza nazionale che non reitera se non la “deprecatio temporum” sorta già all’indomani dell’unità d’Italia, sono il frutto di quel sentimento antistatale che dall’Uomo qualunque in poi si è trasfuso di volta in volta in fenomeni regionali tanto di corto respiro quanto di forte richiamo, nella cui scala di rimandi i forconi che infiammano la Sicilia non sono che la versione meridionale della Lega che accende le micce al Veneto, entrambe le ribellioni fondandosi sulle parole scorate del contadino di Alcamo opposte a un ufficiale garibaldino che lo invita a gioire dell’unificazione del popolo: “Voi unificherete solo un territorio”. 
Alla sua apparizione in Sicilia, Cinquestelle non mutua, in difformità con il resto d’Italia, il retaggio delle liste civiche sotto le cui insegne Grillo fa le prime prove elettorali, ma guarda con attenzione e intenzione proprio ai fermenti di cui i forconi assumono la guida nei primi anni Dieci per tradurli nei blocchi stradali di inizio 2012. Giancarlo Cancelleri, oggi leader dei grillini siciliani, è in quelle manifestazioni, con altri dello stesso movimento, che comincia a fare circolare le idee più organiche e politiche professate dai nuovi guru populisti d’Oltrestretto, ma al fondo di esse non si agita che la stessa anima contestataria e non si forma che lo stesso grido di battaglia del “tutti a casa”. È proprio alla fine di quell’anno che Cinquestelle è pronto a concorrere alle Regionali e apre un’altra storia. 
Ma cosa sarebbe cambiato se i forconi non si fossero arresi al tavolo dei partiti tradizionali e non avessero lasciato che la protesta da loro sollevata e organizzata si indirizzasse pochi mesi dopo a sostegno di una causa, quella grillina, che solo entro un quadro nazionale poteva comprendere lotte siciliane così specifiche e urgenti come quelle suscitate dai forconi? Sarebbe cambiato che, quantomeno in Sicilia, Cinquestelle sarebbe stato un’altra cosa. Invece è andata che il movimento grillino ha assorbito quello dei forconi per combattere una guerra italiana e non siciliana, non facendo cosa diversa dei Greci che assoggettarono i Siculi e li schierarono contro nemici che erano innanzitutto suoi. 
In un vortice di tipo bizantino, le forze della rabbia popolare si sono disgregate al culmine di una belluina corsa per la loro leadership, perpetuando una vocazione tutta siciliana alla disunità e allo scontro intestino della quale è venuta conferma, sull’attiguo campo dell’indipendentismo, dall’analoga guerra di potere ingaggiata tra quelli che sembravano aver riacceso la fiammella dell’identità siciliana: i docenti e leader palermitani di Sicilia Nazione Gaetano Armao e Massimo Campo. La loro lite, seguita dalla costituzione dell’ennesima sigla indipendentista, ha segnato probabilmente il tramonto delle ricorsive aspirazioni, particolari e distinte, dei siciliani, rimasti in attesa dell’applicazione dello Statuto speciale nella parte soprattutto in cui promette fiscalità di vantaggio e maggiore autonomia tributaria. 
I grillini siciliani si sono impossessati, unici tra tutti quelli che anche all’Ars ostentano la coccarda giallorossa, delle bandiere lasciate a terra da indipendentisti e forconi, ma stanno bene attenti a non agitarle in piazza. Un partito così centralizzato e autocratico, alfiere di un risentimento nazionale pur alimentato in Sicilia da malumori da sempre in cerca di paladini, non può in realtà dare spazio a trattamenti privilegiati. Di qui l’equivoco per cui Cinquestelle, come ogni altro partito, non soddisfa, anche quando sta al governo delle città, bisogni e interessi locali, ma nondimeno è il solo ad essere visto in grado di farlo.