martedì 21 luglio 2015

La falce di Crono? E' sotterrata a Messina



Il mondo nasce da un’evirazione: quella che Crono compie su Urano quando lo separa dalla perenne copulazione con Gea, che con Urano forma la coppia di divinità primigenie altrimenti note come Cielo e Terra.
Non ce lo dice solo Esiodo, ma numerose cosmogonie precedenti attestano i racconti della separazione, fino a quella ittita risalente addirittura al XIII secolo, cioè a quasi nove secoli prima dell’affermazione del mito greco. Secondo la teogonia ittita, in uno scontro primordiale di divinità ancestrali compare una taglierina di rame con la quale viene castrato un dio il cui seme genera il “nume della tempesta”, il signore del Monte Hazzi, che per i Greci sarà la montagna di Zeus Casio. In Esiodo la taglierina diventa una falce messoria con la quale Crono evira Cielo e ne libera il seme da cui nasce Afrodite. E cosa ne fa della falce? Dove finisce? 
Il Monte Hazzi, che diverrà in tempi moderni nella visione di alcuni ufologi anche una rampa di lancio per missioni extraterrestri, ritenuto magico perché il sole che tutt’oggi sorge ne illumina la vetta quando alla base è ancora buio e quindi è considerato oggetto di culto, fu anche meta dei più grandi viaggiatori della Grecia antica, gli Euboici, i quali vennero a contatto con le tradizioni ittite e le integrarono alle proprie. 
Anche i Fenici, pari viaggiatori di grande cabotaggio, elaborarono una loro mitografia tratta dalla tradizione ittita per modo che sulle rotte verso Ovest si interrogarono circa la fine che avesse fatto la falce e dove fosse stata nascosta. Gli Ittiti dicevano di averla ben conservata su Monte Hazzi, senonché molte località, dalla costa turca, si chiamavano nell’antichità “drepanon” che significa falce. Una di queste è per esempio Trapani che sorge ai piedi del Monte Erice dove era fortemente venerata proprio Afrodite e dalla cui sommità pare fosse stata gettata la falce. A suggerire il nome di “drepanon” era la morfologia del territorio a forma di falce, conformazione che si ritrova in più luoghi che offrono promontori ricurvi, fra cui Cipro, Corinto, Istanbul.
Ma ce n’è uno che più degli altri nell’area del Mediterraneo si presta a essere un “drepanon”, toponimo che i Siculi chiamavano “zancle”, ed è Messina, la Zancle fondata da Euboici di Calcide e conosciuta come tale dai Greci. Ancora oggi, vicino Messina, sorge Scaletta Zanclea, così detta per la prossimità al capoluogo. Dove in realtà il paesaggio disegna una specie di falce naturale che costituisce il porto e dove, secondo la più attendibile delle ipotesi mitologiche, sarebbe stata sotterrata la falce di Crono. 
Ci sarebbero due elementi a riprova: le monete con la raffigurazione di Crono coniate a Imera, città fondata da Zancle, e il poema Aitia di Callimaco nel quale Clio, la musa della storia, riferisce che i fondatori di Zancle eressero torri di legno attorno all’area falcata “perché qui la falce con la quale Crono aveva reciso gli attributi del padre era stata nascosta in una cavità sotterranea”. Si trattava quindi di una recinzione posta a protezione di una zona sacra e particolarmente mistica della quale Callimaco aveva probabilmente conoscenza avendo letto la “costituzione” di Zancle opera degli allievi di Aristotele che, come per centinaia di altre località, attingevano a informazioni locali. Le torri di cui parla Callimaco sono poi apparse sulla monetazione messinese, segno che esistevano davvero o che comunque a Zancle erano patrimonio di una propria mitografia. 
In un libro di qualche anno fa, Eroi viaggiatori, Robin Lane Fox nota che non possono che essere stati i fondatori euboici ad aver nascosto la falce messoria avendo conoscenza del mito, dal momento che i Siculi non potevano aver avuto alcun contatto con una tradizione nata sulle coste asiatiche: eppure furono proprio i Siculi a chiamare la zona Zancle servendosi di un proprio sostantivo efficace a designare il paesaggio. Lane Fox immagina però che i Siculi abbiano mostrato agli Euboici un’antica falce insanguinata arrivata dall’Oriente e oggetto di un misterioso culto. Ma chi l’aveva portata in Sicilia prima dell’VIII secolo? La risposta adombra misteriosi viaggiatori euboici o fenici in un tempo in cui non è però ancora attestata una loro migrazione in Occidente. Appare allora suggestivo immaginare che, dovendosi trattare di popolazioni appartenenti alla civiltà greca e quindi credenti nella teogonia derivata da Crono, nell’età del bronzo e ancor prima di Omero, che ne parla, possa essere stato Minosse, re di Creta, a portare la falce in Sicilia e sotterrarla a Zancle, prima di raggiungere il regno di Cocalo nell’Ovest dell’isola. 
Questa supposizione non è però tenuta presente né da Lane Fox né da altri studiosi che preferiscono un’ipotesi per la quale la falce sarebbe stata sepolta a Corfù, l’antica Corcyra che nella lingua pregreca significa falce. Ancorché gli allievi di Aristotele avessero supposto che si trattasse della falce di Demetra e non di Crono, Timeo, storico taorminese e perciò in rivalità con Zancle, sostenne che la falce era quella di Crono e che fosse stata portata a Corcyra perché i suoi abitanti, i Feaci, erano nati “dal sangue zampillato dalla castrazione di Cielo”. Ma Timeo non offre elementi per capire quando la falce arriverebbe a Corfù, mentre l’ipotesi di Zancle è suffragata da Callimaco quando si chiede perché mai, nelle feste siciliane dedicate agli ecisti, i fondatori di Zancle, appunto perché due e per giunta in lotta, non siano chiamati per nome. 
E’ la prova che ha ragione Tucidide a fissare la fondazione della città greca nell’VIII secolo, in un tempo quindi perfettamente stabilito e compatibile sia con la Teogonia esiodea che con la generale mitologia greca. E ci piace pensare che il mondo e l’umanità nacquero, nella cosmologia greca, per un colpo di falce che come l’arca della santa alleanza per gli Ebrei costituisce per gli occidentali la massima reliquia. Che è custodita in Sicilia, in qualche “cavità sotterranea” di Messina.