venerdì 24 luglio 2015

La Sicilia pregreca, terra di schiavi da razziare



Nell’Età del bronzo, che termina a ridosso dell’epica omerica e costituisce l’età d’oro nella quale nasce la mitologia greca, la Sicilia è abitata dai Sicani, popolazione probabilmente autoctona, che entrano poi in guerra con gli invasori Siculi provenienti dal continente e di stirpe ligure. Ma Omero nell’Odissea non fa distinzione e chiama Sicania l’isola e Siculi i suoi abitanti: segno che al suo tempo la Sicilia era popolata da entrambe le razze.
Odisseo racconta, mentendo, al padre Laerte di provenire dalla Sicania, ma la vecchia serva è chiamata “sicula” e allo stesso modo “Siculi” sono detti da uno dei Proci gli indigeni della più grande isola a ovest della Grecia. Un’isola che appare ad Omero come una terra di schiavi dove i Proci suggeriscono a Telemaco di destinare gli stranieri perché siano venduti e da dove sono giunti a Itaca come “schiavi per costrizione”, cioè a vita, la “vecchia sicula” e il marito Dolio che vivranno amabilmente in casa di Laerte insieme con i figli: schiavi docili e devoti tanto che il padre di Odisseo viene assistito con “gentile cura” dalla vecchia badante, schiavi per nulla inclini a forme di ribellione e di protesta. 
La “Sicilia favolosa”, quella pregreca, sarebbe dunque ben diversa da quella tramandata da una tradizione secondo la quale fu abitata non solo da Giganti e Ciclopi ma anche da popolazioni selvagge e violente quali i Lestrigoni e i Lotofagi. Alimentava l’idea di una Sicilia ostile e pericolosa, tale che la maga Circe consiglia a Ulisse di evitarla, non solo la vista dell’Etna fonte di distruzione ma anche una conoscenza mitologica che comprendeva semidei rivoltosi come Encelado e Tifone, dèi inferi come Ade e belluini come Efesto, nonché una serie di divinità anelleniche e luoghi ad esse collegati che erano ispirati a un acceso sentimento di terribilismo e di vendetta: la dea Ibla, il dio Adranos, i laghetti dei Palici, l’antro degli Inferi dove precipita Persefone… Questo insieme di luoghi comuni che si radicano per secoli nella coscienza occidentale viene smentito dal poema che più di ogni altro identifica l’Ovest con la Sicilia: l’Odissea confuta il convincimento generale e restituisce la Sicilia a una concezione irenica che ne fa una terra fin troppo pacifica, addirittura sottomessa e rassegnata alle scorrerie straniere che vi stabiliscono una specie di emporio umano, un’Africa ante litteram abusata per una tratta di schiavi che anziché prendere, come sarà, la via dell’Ovest, vengono deportati verso Est. E’ un’isola al tempo di Omero che attira stranieri in cerca di schiavi, una merce evidentemente di valore perché antropologicamente composta da una razza mansueta, servizievole e di sana costituzione fisica. La “vecchia Sicula” si fa amare, insieme con il marito e i figli, da Laerte al punto da dimorare con lui nella sua casa di campagna, in una dependance - ci dice Omero - che affianca l’abitazione, e finendo per diventare parte della sua famiglia.
La prova di questa indole collettiva è nella folgorante invasione dei Greci che non trovano opposizione benché la Sicilia sia popolata da tre stirpi, Siculi, Sicani ed Elini, che si piegano alla nuova civiltà senza nemmeno pensare a una coalizione. Il solo che tenta una difesa è il mostro omerico Polifemo, il gigante con un occhio che vuole fermare Ulisse e i suoi compagni, visti quali sono come reali invasori. Il suo destino letterario e mitologico è però di finire sconfitto e burlato dalla dominante cultura greca dopo essere stato - secondo la stessa tradizione ellenica - deriso e scornato perché impudente innamorato della ninfa Galatea destinata viemmeglio al pastorello Aci. 
Non è dunque azzardato supporre, stando così le cose, che le prime ondate migratorie greche, soprattutto calcidesi, siano state più che altro non viaggi di esplorazione e operazioni di colonizzazione ma vere e proprie incursioni di mercanti spinti a fare razzia di uomini e donne da ridurre in schiavitù e deportare al di là dello Jonio. Lo stesso mito di Ade che rapisce Persefone può ben rientrare nel quadro di una “soluzione finale” ordita dai Greci e consumata in Sicilia, che soltanto dopo diventa terra di conquista e di fondazione di nuove città immaginate sull’impronta di quelle greche.