mercoledì 2 luglio 2014

Stupido è chi lo stupido fa?


Forrest Gump, nel film omonimo, ripete una massima che fa sua come antidoto alla propria dabbenaggine: "Stupido è chi lo stupido fa". Intende che non è stupido chi è ritenuto tale ma chi si ritrova a esserlo, per cui si tratterebbe di una condizione temporanea che si ricreerebbe ogniqualvolta si ripresenti o lo si voglia. In questa guisa lo stupido è un carattere, che può essere interpretato perché non è connaturato. Non è un vizio, un deficit mentale, una minorità, ma solo una funzione e quindi una finzione. Non è più vero quindi che il nostro modo di essere è quello stabilito dagli altri, per cui siamo il frutto dell'altrui determinazione, maschere pirandelliane insomma. Siamo, al contrario, quello che noi stabiliamo di essere fino a quando e fino a quanto ci piace esserlo, benché Gogol' chiaramente avverta in Le anime morte come sia "sufficiente su dieci lati possederne uno stupido per essere considerato uno sciocco nonostante i nove lati buoni". 
Forrest Gump è però in realtà uno stupido, affetto da una seria forma di autismo che affina il suo cervello in senso ebefrenico, rendendolo cioè incapace di interpretare la realtà in maniera metaforica lasciandogli disponibile la sola visione letterale delle cose. 
Cogliere il senso visibile, concreto, tangibile del mondo significa cogliere la realtà o fermarsi alla sua superficie? Forrest traduce la circostanza in occasione e compie atti, come quello di correre senza sosta, la cui insensatezza assume una ragione profonda e imprescrutata per quanti lo imitano o lo ammirano. Eppure è lui per primo a chiedersi cosa stia facendo e perché: fino a quando, privo di risposta, smette e azzera. Senza dunque una ragione profonda, l'atto superficiale perde consistenza e spiegazione.
Non ricercare la metafora significa sterilizzare il linguaggio riducendolo a una lettura analogica, cioè ebefrenica: che è quella di chi non riesce a dare significato traslato al lessico per cui davvero crede a chi gli dica di essersi fatto in cinque per lui. Di qui l'equivalenza: stupido è chi fa stupidaggini, intelligente è chi mostra intelligenza. Ma cosa succede se pur conoscendo una persona come intelligente la vediamo commettere stupidaggini? Resta intelligente o diventa stupida? Secondo Forrest, che in realtà si ritiene intelligente, chi è tale e fa lo stupido diventa tal altro finché non rientra nella sua condizione naturale - cioè nota - quando decida di smetterla. Ma se dovesse reiterare gli atti di stupidità? Se si mostrasse ancora più stupido, facendo per troppo tempo lo stupido, anziché l'intelligente?
Forrest non dice mai che intelligente è chi l'intelligente fa, perché l'intelligenza non è una facoltà ma una qualità, mentre la stupidità può essere una maniera, una finzione appunto. Si può fingere di esser stupidi ma non di essere intelligenti. Ne consegue, secondo il manuale Gump, che chi vuole può fare lo stupido ma non può fare l'intelligente se non lo è davvero. Di conseguenza chi è intelligente e si è fatto conoscere come tale può permettersi la libertà di fare lo stupido. Se consideriamo cioè una persona del primo tipo dobbiamo concederle di essere anche del secondo per tutto il tempo che vorrà. Qualora insistesse in questo stato ecco però che ai nostri occhi diventa non stupido ma pazzo: non è più conforme ai parametri che ce lo hanno fatto credere intelligente. E "rinsavirebbe" qualora tornasse al suo stato. Ma se fosse uno stupido a fingersi intelligente, lo riterremmo ugualmente stupido anche quando non tornasse più alla sua condizione. E questo perché? Perché l'ebefrenia è un'affezione. Riconosciamo una persona stupida o finta tale secondo il suo linguaggio e la sua capacità di creare metafore, di parlare per rimandi semantici e per connessioni di figure, immagini, scene, mondi. 
Il computer è notoriamente detto stupido perché non sa che replicare funzioni programmate. Ha una grande memoria ma non ha alcuna intelligenza, non sa cioè creare metafore. Una persona intelligente si riconosce invece, anche quando fa o commette stupidaggini, perché si serve di metafore, inventa dimensioni nuove e linee di pensiero non stereotipate. Tra memoria e intelligenza Montaigne preferiva possedere la prima, presagendo forse la potenza informatica, ma se l'uomo fosse dotato di sola memoria saremmo tutti dietro Forrest Gump a correre ricordandoci solo di correre e delle strade da percorrere senza guardarci attorno e cogliere nel mondo una sua metafora: magari la nostra barba lunga.