lunedì 11 settembre 2017

Gli zii di Sicilia / Ben Gazzara e le due volte a Canicattì


Articolo uscito il 10 settembre 2017 su la Repubblica di Palermo


L’ultimo film lo ha girato in Sicilia, godendo dei tramonti di Marsala e interpretando un nonno che vive in trepidazione per una nipote in America. “Ristabbanna” (in dialetto “da questa parte”) è uscito nel 2012, l’anno della morte, e di Ben Gazzara ha come inteso riepilogare la vita, che di fatto è sempre stata ondivaga tra le due sponde dell’oceano.
Dice Daniele De Plano, toscano, regista del film con il trapanese Gianni Cardillo: «È stato scritturato solo per una settimana e, sebbene reduce da un intervento chirurgico alla gola, dovuto al cancro, si è mostrato amabile, professionale e molto compenetrato non solo nella parte ma anche nell’ambiente siciliano».
Dal film "Ristabanna" del 2012
È stata l’ultima sua venuta, troppo breve per un'altra visita a Canicattì, il paese del padre dove era venuto solo due volte, pur avendo soggiornato molto tempo in Italia.
Cinque anni dopo la morte, Canicattì lo ha praticamente rimosso. «È caduto nel dimenticatoio» ammette il sindaco Ettore Di Ventura. Nessuna iniziativa è stata più presa dal 1985 e nemmeno si è pensato di intitolargli una strada. Una Via Gazzara in realtà esiste, ma ricorda un sindaco degli anni Sessanta, Pasquale, peraltro parente dell’attore. Nel 1985 il Comune lo invitò ufficialmente per la Festa dell’uva e Ben venne con la moglie Elke e il suo autista, Attilio Belfiore, uno stuntman romano per una vita al suo fianco anche come guardaspalle.
La cugina Gisella Giardina
Gisella Giardina, cugina di primo grado, ricorda la curiosità dei giornalisti per le parole del celebre attore che disse di aver mangiato «qualcosa di veramente speciale» in casa della zia Filomena. «Semplicemente arancini e pizzette - dice Gisella - che Ben continuò a ingurgitare anche mentre si cambiava d’abito in camera da letto per andare alla biblioteca comunale dove doveva ricevere la cittadinanza onoraria». Ben volle pernottare in casa della zia novantenne e non in albergo. Ricorda Totò Gazzara, terzo cugino: «Vidi che la baciava ripetutamente sulla testa e la abbracciava forte, con vero trasporto. Le era molto affezionato». Quando nel 1964 la zia era andata per quattro mesi a New York in casa di parenti, Ben l’aveva raggiunta subito volando da Los Angeles e lasciando il set.
L'incontro nel 1960 con zia Filomena
Zia Filomena aveva un cruccio: che il nome dei Gazzara potesse estinguersi, come in effetti è stato, perché né Ben né il fratello Tony, rimasto celibe, avevano avuto un maschio, sicché la notte del 15 ottobre 1985, ospitando il nipote e la moglie in una bella stanza matrimoniale, li invitò a concepire un figlio. Un augurio non di circostanza, perché ricordava quanto era avvenuto a suo fratello Antonino, il padre di Ben, che per diciotto anni non aveva avuto figli da Angela Cusumano, la moglie proveniente da Castrofilippo, finché non avevano avuto consigliato da un medico guaritore di andare in Sicilia, viaggio al ritorno del quale erano nati Tony e poi Ben.
A trent’anni, girando a Cinecittà “Risate di gioia” con Totò e Anna Magnani, Gazzara decise di vedere Canicattì, da dove il padre era partito dopo il fallimento della ditta di famiglia che commerciava medicinali: fallimento dovuto a un viaggio in America del nonno di Ben per acquistare a poco prezzo grosse quantità di chinino che però in Italia venne poi distribuito gratuitamente. Arrivò su una Ford Mustang insieme con Attilio Belfiore e il fratello Tony (il genio di casa, sei lingue parlate, compreso il latino, una cattedra di inglese all’università di Palermo rifiutata) dopo aver spedito un telegramma che ai parenti fu però possibile leggere solo a tarda sera.
La cugina Flora Li Calzi
«Per tutta la notte - racconta Flora Li Calzi, oggi insegnante al liceo, anche lei cugina diretta - lavorammo a preparare cannoli e cassate perché sapevamo quanto li desiderasse. Mi diedi da fare anche io che avevo sette anni. Quando vide la coperta a scacchi che mia nonna Filomena e mia madre stavano completando la volle a tutti i costi e tanto suscitò l’invidia dei parenti di New York che nel 1964 mia nonna ne portò loro altre quattro». 
Anche Filomena era destinata ad emigrare, anzi stava per imbarcarsi, sennonché il fratello, aspettando che il piroscafo salpasse, la lasciò al porto e volle girare un po’ per Palermo. La sorella, non vedendolo tornare, pianse disperata e al momento dell’imbarco fu respinta per un sospetto problema agli occhi. 
In casa della zia, Ben fu sorpreso di trovarsi in una famiglia per niente povera e racconterà di avere avuto il caffè servito addirittura in tazzine d’argento. Lo impressionò anche un’altra cosa: i costumi succinti delle ragazze che vide sulla spiaggia di Porto Empedocle: «A mia moglie non lo permetterei mai» commentò, sbalordito di vedere in Sicilia scene che nemmeno in America gli erano capitate. Ma nel 1960 una moglie non ce l’aveva più, avendo lasciato da tre anni l’attrice Louise Erikson, pur essendone ancora innamorato, tanto da portare sempre al polso un orologio avuto da lei in regalo. Di Louise confidò alla zia Filomena quanto fosse stata gelosa, ma la zia fu d’accordo con lei, perché non trovava giusto che nei film si facesse vedere preso a baciare donne estranee. 
Quell’estate capitò a Ben un altro paradosso, simile a un siparietto. La madre gli aveva più volte parlato della cucina siciliana e di quanto fosse buona la carne arrostita sul “cufilaro”, una griglia poggiata sulle pietre. Quando i parenti lo portarono a vedere la superba villa del Firriato progettata da Ernesto Basile gli dissero che forse lì tenevano ancora un “cufilaro”, sicché Gazzara la prima cosa che chiese alla figlioletta del “mitatere” che andò loro incontro fu di fargli vedere subito il suo “cufilaro”, che nella parlata di Canicattì indica anche i genitali femminili.
Ben Gazzara volle vedere anche la chiesa di San Biagio, il santo di cui portava il nome, ma la prima cosa che chiese appena arrivato fu di assaggiare la tuma; quando però mangiò gli spaghetti “alla carrittera” non preferì nient’altro. Tuttavia nel 1985 alzerà in aria un grappolo di cinque chili di uva Italia ed esclamerà dal palco «Che spettacolo!» avendone dal Comune in dono una grossa quantità: più che gradita, ma non per farne vino avendo smesso di bere, diversamente che nel 1960 quando non s’era mostrato che in cerca di whiskey. «Gli facemmo trovare il mobile-bar pieno, ma Ben non toccò un goccio» dice Flora. Che un anno dopo, nel 1986, per il suo matrimonio, riceverà dal cugino una confezione di tè di Schiffen di cui gli aveva parlato.
La venuta di Gazzara, durata solo un giorno e mezzo, fu una festa anche popolare. Nel 1988, per l’uscita del film “Don Bosco”, da lui interpretato, un padre salesiano di Canicattì, don Fausto Curto, noto per le sue eccentricità, tappezzò i muri di manifesti con la foto di Gazzara e la scritta “Don Bosco è di Canicattì”. Fu l’ultima apparizione, se si esclude la venuta nel 1999 dell’unica figlia dell’attore, Elizabeth, studentessa a Firenze, che con un’amica pensò di conoscere i parenti e il paese del padre. Al Comune la indirizzarono in casa della cugina Flora che quel giorno era però fuori paese. Se fosse andata a Catania a cercare lo zio Antonino, dirigente al provveditorato, le sarebbe sembrato di vedere il padre. Ma non provò nemmeno ad andare a Castrofilippo, dove non era rimasto nessuno dei Cusumano, la famiglia della nonna. Né nell’85 ci andò Ben, che alla madre fu però legatissimo. Il giorno del suo debutto al Metropolitan di New York, mamma Angela che, al contrario di papà Antonino, lo aveva incoraggiato a fare l’attore, per l’emozione morì di colpo e lui recitò ugualmente non facendo capire niente. Si confiderà con zia Filomena nella quale vedrà un’altra madre.