In un docu-film del 2013 intitolato “Da Palermo a New Orleans. E fu subito jazz” Renzo Arbore che lo realizzò si chiedeva cosa mai avessero i siciliani per eccellere nella musica, in particolare nel jazz. E si rispondeva che forse era la melanzana di cui fanno molto consumo a procurare loro, per proprietà naturali invero mai dimostrate, un talento così spiccato da averli resi gli artefici o i co-artefici della musica jazz nella patria che fu New Orleans. Arbore lanciava anche un appello, caduto nel vuoto, perché il jazz avesse in Italia (dopo gli Stati Uniti la nazione con il numero più alto di compositori) un maggiore seguito, ma dovette quello stesso anno accontentarsi della seconda serata su Raidue per vedere trasmesso il suo documentario. Il presentatore pugliese coglieva comunque un dato storico che la pubblicistica statunitense ha cercato di offuscare e cioè il contributo determinante e originario che gli emigrati siciliani diedero alla nascita e allo sviluppo del jazz: elemento questo che nemmeno la Rai, nel programma di Paolo Mieli “Passato e presente” dedicato al jazz, ha ricordato, se non citando di sfuggita per bocca di un ospite, Rosario Villari, il nome di Nick La Rocca.
Nella capitale della Louisiana dove nel marzo 1891 undici italiani, quasi tutti siciliani, furono linciati da una folla inferocita al culmine di tensioni sociali covate da anni e rivolte a demonizzare gli immigrati soprattutto siciliani, accostati ai neri, ai messicani e ai portoricani sotto l’appellativo di “dagoes”, si crearono le condizioni per il fiorire di una musica sincopata, arrangiata, fatta di fiati e percussioni e basata essenzialmente su un ritmo nuovo, mai sentito, diverso dal ragtime che comunque echeggiava. Un ritmo che sembrava mutuato dal modo di parlare dei siciliani, dalla loro gesticolazione a scatti e dal loro stesso dialetto.
In sostanza gli stessi siciliani che erano considerati la feccia della Louisiana e contro i quali fu scatenata dallo stesso sindaco una feroce campagna di odio arrivata a limitare gli arrivi furono i precursori di una cultura che la storiografia americana si è ben guardata dal riconoscere loro e che ancora oggi connota la vita di New Orleans nel segno del jazz. Nonostante il clima di ostilità gli arrivi di famiglie siciliane fu costante. Si trattò in gran parte di emigranti palermitani e trapanesi che scelsero la Louisiana perché era un Paese con lo stesso clima, lo stesso tipo di agricoltura che esercitavano in Sicilia ed era il solo Paese con prevalente presenza di cattolici, ciò che favoriva l’aiuto dei parroci anche per i rapporti con la Sicilia attraverso la corrispondenza da ricevere e spedire, non sapendo nessuno leggere né scrivere. Il flusso migratorio divenne talmente elevato che venne istituito un piroscafo che ogni settimana partiva da Palermo e dopo un mese raggiungeva New Orleans, dove era più facile sbarcare che non a Ellis Island, la frontiera istituita nel 1892.
Due anni prima del massacro che determinò anche una grave crisi diplomatica tra Washington e Roma, a New Orleans nacque Domenico La Rocca che si farà chiamare Nick e diventerà nel 1917 il primo compositore di un disco jazz nonché il capo di una band formata da musicisti siciliani che stupirà e conquisterà l’America. Morirà nel 1961 nello sconforto di non essere riuscito, nonostante gli sforzi, a ottenere il riconoscimento del contributo dato all’invenzione del Jazz. La famiglia proveniva da Salaparuta, lo stesso paese dell’entroterra trapanese (che verrà distrutto nel 1968 dal terremoto) dal quale erano arrivati i genitori di Louis Prima, molto più giovane di Nick La Rocca e suo ideale successore nell’evoluzione del jazz prima maniera perché impresse al ritmo un tono che si serviva a piene mani dell’argot siciliano, delle canzoni della tradizione isolana, dei modi più sorgivi, tanto che si parlò non più di jazz ma di jive, uno swing nuovo di tipo non però nordamericano e afroamericano ma siciliano.
Nick La Rocca e Louis Prima, sassofonisti e clarinettisti, entrambi di sangue salaparutese, furono i precursori del jazz, certamente i compositori più innovativi, dopo i quali altri jazzisti siculo-americani come Tony Scott, originario di Sciacca, hanno esaltato la musica jazz anche non conoscendo il pentagramma: fino ad arrivare oggi a Francesco Cafiso di Vittoria, figlio di quella generazione di jazzisti che attendono ancora di essere posti nella loro legittima collocazione storica.