domenica 14 luglio 2019

Portella, i segreti della Dc che riguardarono anche il Pci



Se la scena madre della vicenda di Salvatore Giuliano fu Portella della Ginestra, alla stessa strage è, in maniera sia pure laterale e più scorciata, legato il nome dello storico emerito palermitano Francesco Renda, che il primo maggio del ’47, in veste di segretario della Federterra, fu incaricato di tenere un comizio dove la banda Giuliano fece dodici morti.
Renda non parlò quel giorno a Portella e sulla mancanza ha sempre pesato un perché. Si disse che la sua moto rimase in panne lungo la strada. Si disse anche che sapeva dell’attentato e che non arrivò mai a Portella. In un libro del 2002 libro dedicato a Giuliano (Salvatore Giuliano. Una biografia storica, Sellerio), Renda liquidava la questione in due righe, affermando di essere arrivato in ritardo, e affidava la descrizione dei fatti a un poeta, Ignazio Buttitta, a un cantastorie, Turi Bella, e a un regista, Francesco Rosi, chiamandosi deliberatamente fuori e mettendo fine alla propria partita. 
Deludendo su questo lato, Renda guadagnava però meriti su altri, dacché il libro è nato sul tavolo dello storico e non sul banco di “persona a conoscenza dei fatti”. Innanzitutto vale l’intuizione ragionata che Portella giovò a espellere i comunisti dal governo nazionale e da quello regionale, sterilizzando così il successo elettorale del Blocco del popolo e gettando le basi per la ricomposizione del blocco dominante democristiano e il suo consolidamento persistito mezzo secolo. Ma altra luce fa Renda chiamando sulla scena gli Stati Uniti e il loro interesse perché la seduzione-sedizione comunista non prendesse piede in Italia. 
Pur non avvalorando del tutto questa ipotesi, lasciandola dimezzata, Renda accredita Giuliano in una posizione funzionale a questa strategia, ancorché secondo lui in un primo momento fu al Pci che il capobanda tentò di legarsi offrendo la sua mano armata per sostenere l’imminente rivoluzione proletaria: intenzione che sarebbe stata scoraggiata dalla forte opposizione di Li Causi, l’uomo che Giuliano finirà per odiare più di tutti e per rapire il quale – secondo una vulgata non del tutto peregrina – promosse l’attacco di Portella. 
Francesco Renda
Ma se questo teorema risponde della sola lucidità di Renda, di diverso riguardo è piuttosto l’idea che lo storico introduce di un terrorismo distinto dal banditismo che in Sicilia fece le prime prove ancor prima delle escandescenze monteleprine. Un terrorismo che avrebbe avuto ben altre ribalte ma che, in quella stagione, fece da detonatore alle imprese di Giuliano reclutando la mafia al suo servizio. Renda dunque propone uno scenario da strategia della tensione avanti la storia e riconduce i tanti episodi, dal delitto Miraglia al caso Giuliano, in un unico scacchiere attorno al quale ad avvicendarsi sono stati tanti giocatori, impegnati in una partita di ruolo, tra alleanze, tradimenti e patti scellerati. Uno scacchiere sul quale in definitiva a far pesare di più la presenza è stato un consociativismo di forze antitetiche, politiche e militari, che della Sicilia ha fatto un primo laboratorio di esperimenti destinati a una applicazione su scala anche internazionale.
Ma Renda ha in qualche modo contribuito a perpetuare i misteri attorno alla strage. Tacendo circa la sua assenza quel giorno a Portella ha alimentato dubbi che riguardano le possibili collusioni del banditismo non solo con la Dc di Scelba, accusato da Li Causi di aver armato la mano di Giuliano, ma anche con il Pci del tempo. Sapeva della strage in programma e per questo motivo preferì mancare? E se sapeva (come molti contadini che scelsero di non festeggiare il Primo Maggio attorno alla Pietra di Barbato, il leader dei vecchi Fasci dei lavoratori) chi lo informò. Se a distanza di settantadue anni ben poco si si di quella strage è sicuramente perché c’è ancora molto da sapere.