Fino a quando il paese dei fichidindia e della ricotta, da dove a Vittorini piacque raggiungere l’immaginaria Neve, saprà evocare Verga su un set naturale che continui miracolosamente a mantenersi in gran parte intatto, il fascino delle Manifestazioni verghiane di Vizzini (oggi solo “Verghiane” come per un marchio di fabbrica) non potrà svanire nemmeno fra cento anni.
Ma più che evocare è come ricordare, se si attende davanti ai palazzi ambiti da don Gesualdo, le viuzze rampicanti a torciglioni, i campanili irti come picche e i poggi che dileguano fino a Licodia, quadri di un mondo immoto e rimemorato, gravidi di un’aria di familiare sicilianità.
Sicché bastava ieri sera - tra le ballate di Luciano Busacca cantastorie e le suggestioni dell’Osteria di Santa Teresa, dove Alfio e Turiddu si morsero all’orecchio - alzare lo sguardo al balcone per intravedere in fazione il “galantuomo” don Giovannino Verga spingere con i suoi occhi neri sopra il mostaccio i due rivali verso la “Canziria”, ripulita che è stata proprio ieri dai marines di Sigonella, come l’anno scorso mobilitati in risposta all’impulso tutto americano di salvare il mondo, stavolta letterario.
E alla Cunziria, mutata nel nome e passata dal più misero al più nobile dei topoi vizzinesi, sul fondo di una “stradicciuola” ripida che a piedi, come fecero gli spasimanti di Lola, non può che essere ridiscesa a passo svelto, oggi florilegio di ruderi in precario ed elegante equilibrio, tornerà stasera per il Festival verghiano Jeli il pastore reduce dai campi incolti di Tebidi, guidato da un regista vizzinese, Lorenzo Muscoso, che ne ha fatto un adattamento teatrale associandogli in una visione volutamente elisabettiana, dunque scespiriana, un sentimento, quello (liberamente elaborato) del rimorso per l’abbandono del padre, che domani sera, sempre alla Cunziria, per la rappresentazione de “La Lupa” farà invece posto con la passione anche alla fragilità umana.
Meglio rileggere le due novelle di “Vita dei campi” prima di affidarsi alla rivisitazione di Muscoco e ancor più il “Mastro don Gesualdo” a voler vivere pure la “notte bianca” del 23, serata di chiusura delle Verghiane dedicata alla visita guidata dall’assessore Pietro La Rocca tra le antiche dimore nobiliari del romanzo, comprese quelle private che saranno aperte per l’occasione. E lì lasciare echeggiare la lettura di brani verghiani per farsi sedurre dalla musicalità delle loro prensili partiture sintattiche: entro un’atmosfera di crinoline e cortinaggi da cogliere nelle penombre di Palazzo Trao, “alto, nero e smantellato” e oggi museo verghiano, del palazzetto dei Rubiera dal “portone signorile incastrato in mezzo a facciate da catapecchie”, di Palazzo Sganci e i suoi cinque balconi aggettanti sulla piazza e della “massa nera del Palazzo di città”.
Per chi poi volesse l’en plein, ancora alla Cunziria domenica 17 lo aspetta il “Verga film”, rassegna di cortometraggi alla seconda edizione sui temi del reale e del sociale, come dire nello spirito di un autore che più passa il tempo e più si fa presente.
Articolo uscito il 15 settembre 2017 su la Repubblica-Palermo