giovedì 20 giugno 2019

Un testimone: vera la love story tra Giuliano e la "Santuzza"

Maddalena Lo Giudice in due istantanee inedite a distanza

Sessantanove anni dopo la morte di Salvatore Giuliano, c’è ancora chi è vivo per fornire nuove testimonianze sulla sua vicenda costellata di misteri, uno dei quali è quello che riguarda la “Santuzza”, la ragazza di Antillo che si chiamava Maddalena Lo Giudice e che avrebbe avuto dal bandito il memoriale con i segreti su Portella della ginestra e i nomi dei politici collusi, gioielli per venti milioni di lire e un figlio.
Ciccio Cacciola vive vicino ad Antillo e ha oggi quasi novant’anni, ma una memoria che sfida l’età. Ricorda che da giovane, in un anno certamente successivo al 1945, amando andare a caccia, dall’alto di una rupe vide alcuni uomini due dei quali si baciarono e abbracciarono, come se si incontrassero per la prima volta e si scambiassero un saluto di circostanza. Uno lo conosceva benissimo. Era Micio Pinto, un bandito alla macchia proprietario di armenti e custode dell’ordine pubblico in tutta la zona. L’altro era Salvatore Giuliano, della cui presenza nell’area tra Limina, Antillo e Forza d’Agrò Cacciola aveva già sentito vociferare. Ma sul momento non lo riconobbe. Solo successivamente avrebbe dato un nome all’uomo visto con i suoi occhi da vicino. I due famigerati latitanti si incontravano perché uno assicurasse all’altro venuto da lontano un nascondiglio sicuro in un momento in cui Giuliano aveva l’esigenza di stare nella Sicilia orientale, non lontano da Catania. Che tipo di esigenza?
Ciccio Cacciola. Sopra Maddalena Lo Giudice
Cacciola ricorda di aver a quel tempo sentito da fonti informate che all’ospedale Garibaldi di Catania era ricoverato un suo uomo che perciò Giuliano andava a trovare, stabilendosi sui monti di Antillo, forse per la presenza di Micio PInto. Quel giorno Cacciola assistette dunque per caso all’accoglienza che Micio Pinto fece al ben più famoso bandito quando arrivò in zona. Sull’identità dell’affiliato ricoverato Cacciola non seppe nulla, ma altri testimoni di Limina hanno anni fa riferito di un pagliaio che in quello stesso periodo il bandito occupò con altri uomini per nascondere un bambino di circa dodici anni sequestrato e tenuto in attesa del riscatto. Secondo le stesse fonti si ebbe una notte un conflitto a fuoco con i carabinieri e i banditi fuggirono lasciando un loro uomo morto, forse quello che li aveva traditi. Un altro può essere rimasto ferito e fu portato al Garibaldi di Catania. Giuliano copriva la distanza a volte a piedi ed altre a bordo di un mulo, che i mezzadri gli davano o di cui lui si impossessava arbitrariamente. Uno Cacciola lo ritrovò in seguito abbandonato nella propria campagna e lo tenne fino a quando il vero proprietario dimostrò che era suo perché il somaro, lanciato al galoppo, alla parola “sta” si bloccava di colpo. 
Fu per via del ricovero del suo uomo che Giuliano conobbe Maddalena Lo Giudice, una bella ragazza figlia del podestà di Antillo che era anche un benestante possidente. Maddalena era amica delle sorelle chiamate “Fenech”, sue coetanee e compaesane, figlie dell’avvocato Smiroldo, noto personaggio del posto. Una delle sorelle era andata sposa a un certo Urso e si era trasferita a Santa Teresa Riva, dove si ammalò e fu necessario ricoverarla a Catania, allora meta preferita a Messina. Al Garibaldi la donna fece la conoscenza dell’uomo di Giuliano, sicuramente anche lui un ragazzo. Così lo stesso Giuliano, entrato in amicizia con la sorella, pendolare come lui, convenne con lei di trascorrere insieme qualche ora con altri amici, sicché la Fenech portò con sé anche Maddalena che fece subito colpo sul bandito. Nacque un amore che portò al concepimento di un figlio, che la ragazza – secondo Cacciola e quanto venne a sapere allora – partorì in incognito in Calabria affidandolo poi a un orfanotrofio.
“Sono sicurissimo di questo – dice Cacciola – perché io e un mio amico vedemmo Maddalena staccarsi da un gruppo di donne che si
 stava dirigendo in campagna per allentarsi la veste in un angolo appartato dove le scoprimmo il pancione, che provava in tutti i modi a tenere nascosto. Poi non si vide più per un lungo periodo, dopodiché la vedemmo di nuovo ad Antillo senza più i segni della gravidanza”. Del figlio di Maddalena Lo Giudice e Giuliano si è sempre parlato in termini dubitativi. Nel 1984 la donna disse che l’uomo che le aveva chiesto di essere riconosciuto come il figlio del bandito e che il custode del cimitero di Montelepre aveva visto con due bambini e la moglie su una Mercedes targata Catania fare visita alla tomba del bandito non era il figlio, in qualche modo ammettendo così che un figlio lo aveva avuto. In quell’occasione negò anche l’esistenza di un memoriale avuto da Giuliano, ma Cacciola è certo di poter dire che la “Santuzza” consegnò i documenti avuti dal bandito a una donna di sua assoluta fiducia, una “mitatera” soprannominata “Jencu”, incaricandola di nasconderli in casa murandoli nel cemento. In quale casa? E cosa ne è stato? Secondo quanto dichiararono i parenti di Guliano, la Lo Giudice si disfece del memoriale consegnandolo a una persona di cui non si è saputo mai niente, forse appartenente ai Servizi o forse alla mafia.
Ritenuta una mitomane che si sarebbe inventata una relazione col famoso bandito per futili motivazioni, dandosi un epiteto che le piaceva perché si abbinava a “Turiddu”, Maddalena Lo Giudice in un primo momento confermò ogni cosa, poi ritrattò tutto. Secondo Cacciola che la conobbe bene, ebbe paura per il clamore assunto dal caso sulla stampa nazionale. Nel 1953 fu anche arrestata insieme con il padre e il senatore Li Causi presentò un’interrogazione alla Camera chiedendone i particolari e i retroscena, ottenendo in risposta che si era trattato solo di un fermo dopo la denuncia dei Giuliano per appropriazione indebita. Ma nello stesso anno risulta per certo che fu lei a fare pervenire per lettera alla famiglia Giuliano i versi che ancora oggi campeggiano sulla tomba, a lei dettati dal bandito perché costituissero il suo epitaffio. Secondo Cacciola, Maddalena, così timida e appartata, non avrebbe mai potuto inventare di sana pianta una storia d’amore con Giuliano, aggiungendo anche il particolare dei gioielli avuti, perché non aveva certamente bisogno di soldi. Sempre nel 1984 Maddalena rivelò che i genitori l’avevano fidanzata a un ragazzo di Messina, dove lei era stata da bambina ospite dell’Istituto Don Bosco, un ragazzo che poté conoscere dopo tre anni, nel 1949, e che lasciò appena lo vide. Il 1949 può essere l’anno, secondo Cacciola, del grande amore con Giuliano, un amore vero, che spiega perché fu lei a fare il primo passo nei confronti della famiglia, una volta morto Giuliano, chiamando “mamma” la mancata suocera.