venerdì 11 maggio 2018

Mario Savio, il siciliano che infiammò l'America



Un tempo i Savio erano stati numerosi a Santa Caterina Villarmosa, tutti buona e brava gente di terracotta. Li chiamavano “i pignatari” perché lavoravano la creta e tornivano pentole di argilla che vendevano nella vallata del grande feudo. Poi si spersero per il mondo e una parte finì in America, dove si sparsero a loro volta fino nel West.
Della stirpe dei Savio nessuno avrebbe saputo niente se non fossero successe due cose: nel 1964 un Mario Savio, brillante e intrepido studente di New York, sale su un’auto della polizia (a piedi scalzi per non rovinarla) e all’università di Berkeley in California parla della libertà d’espressione facendosi così profeta del Sessantotto nel mondo e icona dell’America della controcultura; e nel 2015 in Florida un Ferdinando Savio con la mania per le genealogie scrive un diario di famiglia che oggi è nelle gelosissime mani di Giovanni Canaletta, custodito come una reliquia. 
Giovanni Canaletta con la madre

Giovanni è un imprenditore di infissi rimasto a Santa Caterina e figlio di un Canaletta sposato a Maria Savio, una dei sei figli di un Giovanni Savio con cinque fratelli, questi e quelli oramai andati tutti via dal paese. Dove dei Savio s’è persa pure la memoria. 
Ora, a ventidue anni dalla morte e a cinquanta dal Sessantotto, il Comune sta pensando di intitolare a Mario Savio una strada, dopo che quindici anni fa, dovendo intestare il centro polifunzionale, il Consiglio comunale optò per Antonio Guastaferro, un pittore locale del Settecento, accantonando così Savio. Ma dopo un sollecito da parte di alcuni giovani, il sindaco Antonino Fiaccato ha oggi riavviato la procedura. Tuttavia due anni fa, su iniziativa del vicesindaco del tempo Michele Russo, sembrò che a portare il nome di Savio dovesse essere il Palasport, sennonché la Giunta decadde e quella attuale si è detta contraria a intitolare a una figura sociale e politica un impianto sportivo. 
Nadav Savio, il figlio che vive a Oakland
Eppure sembrò davvero fatta nel 2016. Russo riuscì a scovare sui social il figlio di Mario Savio che vive a Oakland in California e che promise di essere presente alla cerimonia. Si chiama Nadav ed è un designer manager in rapporti di lavoro con Greenpeace e Medici senza frontiere. Assomiglia al padre non solo fisicamente ma anche per le attitudini in campo scientifico e la vocazione a promuovere ogni forma di libertà. Da ventuno anni Nadav bandisce un premio di seimila dollari destinato a giovani attivisti sconosciuti che si impegnino a favore dei diritti umani e della giustizia sociale. E insieme con la madre Suzanne Goldberg sostiene la fondazione “Free speech moviment”, la cellula creata dal padre: che fu il primo contestatore al mondo, ma anche un inappuntabile docente di fisica, di filosofia e preside dell’università di Sonoma. Provò anche a farsi eleggere senatore, non mancandogli certo la parlantina. Nel famoso discorso del 2 dicembre 1064 a quattromila studenti si distinse per concisione ed efficacia. Accese la miccia che sarebbe divampata quattro anni dopo anche in Europa con poche lapidarie parole: “Il rettore dice che l’università è una macchina, ma noi siamo essere umani. Mettiamoci in mezzo agli ingranaggi e impediamole di funzionare fino a quando non saremi considerati uomini liberi”. 
Dora Berretti, la prima moglie di Joseph Savio
Del discorso del padre Nadav ha fatto un suo precetto (a differenza dei fratelli, Daniel e Stefan) e deve il suo nome biblico alla nonna Dora Berretti, la prima moglie di nonno Joseph, il fratello dell’autore del diario. Dora era di origini ebraiche e quando morì, nel 1979, Joseph esaudì il suo desiderio che le ceneri fossero conservate a Gerusalemme. Attraversò l’oceano e fece tappa a Santa Caterina per mostrare l’urna cineraria ai genitori, Ferdinando Savio e Vincenza Abate. I quali – successivamente emigrati negli Usa dove sarebbero morti – avrebbero anch’essi chiesto di essere cremati e che le loro ceneri fossero portate a Santa Caterina. Anche Joseph, scelta la cremazione, lasciò detto che le sue polveri fossero deposte in paese, ma il figlio Thomas, fratello minore di Mario, si oppose, adducendo che in Sicilia non era rimasto nessuno della famiglia. In parte era vero. 
Joseph con la seconda moglie Irene e i genitori seduti
Joseph era nato a Santa Caterina ed era emigrato col padre a nove anni. Ci voleva tornare e ci riuscì tre volte, l’ultima delle quali nel 1984 quando con la seconda moglie Irene portò le ceneri dei genitori. Un’altra volta gli avvenne nel 1979 con in mano le ceneri di Dora e la prima fu a 52 anni, nel 1972, con la moglie Dora e il figlio Mario, allora trentenne. Dimorarono in casa dei genitori dove Mario apparve un ragazzo alquanto strano, alto e magro come tutti i Savio, taciturno e assorto nelle sue passeggiate solitarie in campagna – l’esatto contrario del vibrante agit-prop che l’America apprezzava e del bell’ingegno dedito agli studi. 
Mario Savio con il padre Joseph e la mamma Dora
Mario nacque a New York nel 1942 e i genitori si sposarono solo un anno dopo. Alle scuole superiori, essendo il primo della classe, vinse una borsa di studio per l’università di Boston, ma decise di andare a Berkeley e i genitori lo seguirono in California. Papà Joseph portò dentro di sé il paese natale, tanto che quando si stabilì a Covina il diario di Ferdinando riporta che “il suo giardino aveva diverse piante tipiche siciliane come fichi, fichi d’India, carciofi, peri, ciliegie e altre verdure da orto”. Anche Ferdinando è molto legato a Santa Caterina, pur non essendoci nato. Nel 1999 è venuto per il matrimonio di Giovanni Canaletta, ma c’era già stato dal 1939 al 1945 da bambino, imparando l’italiano e serbando ricordi poi trasfusi con slancio nel suo diario. Dove a Mario, il Savio dopotutto arrivato più lontano, riserva stranamente poche righe: ne riepiloga la vicenda di studente in California e alla fine scrive che “sposò Susan, ebbero un figlio Stefano e vissero in New Jersey”. In realtà Mario rimase in California dove morì, ebbe tre figli e dopo Suzanne sposò Lynne Hollander. 
Ferdinando Savio con la moglie Giovanna in Florida
Nella sola parte che riguarda la famiglia di Joseph, l’albero genealogico di Ferdinando oggi ottantacinquenne appare dunque piuttosto confuso e fatto di cancellature. Il suo puntiglio a tenere aggiornate le ramificazioni della stirpe dei Savio, a partire dal capostipite Giuseppe, il primo “pignataro”, ha vacillato curiosamente proprio sulla discendenza del fratello Joseph. Alla fine Mario Savio, l’eroe di Berkeley, sembra essere stato un profeta in America ma non in patria né in famiglia.

Articolo uscito l'11 maggio 2018 su la Repubblica-Palermo