lunedì 28 maggio 2018

Gli uomini, che bastardi. Parola di Abbate


Se un merito ha il giornalista di Castelbuono Carmelo Abbate (volto noto di “Quarto grado”) è di avere scritto un libro, Gli uomini sono bastardi, nel quale si dimostra come il femminicidio sia un crimine molto più frequente nel nord Italia: dei dieci casi ripescati negli ultimi anni, i più efferati e tristemente famosi, tutt’altro che cold case, solo due si sono avuti nel Sud, uno a Cagliari e l’altro a Siracusa. Si dimostra anche che il delitto d’onore, cui tanta parte della nostra produzione cinematografica e letteraria ha eretto altari di rito meridionale, si è tanto disperso nei rivolgimenti del tempo che un siciliano come Abbate, sia pure della diaspora, può oggi puntare deliberatamente l’indice accusatore contro gli uomini e definirli in blocco “bastardi” senza concessione alcuna di attenuanti. E questo sebbene la gran parte dei delitti rialbeggiati siano stati originati da mogli fedifraghe e smascherate. 
Nondimeno l’accusa mossa dall’autore agli uomini che odiano le donne, sostenuta con un piglio moralistico sospinto fino ad apparire integralista, con tirate e requisitorie da caccia agli stregoni, è così perentoria da costituire un limite del libro stesso: dove le “ragioni del lupo”, che anche Socrate riteneva ammissibili e che in ogni processo per uxoricidio hanno pure il loro peso, vengono escluse in nome di una sacralità di genere sentita come un must del politically correct
Gli uomini sono bastardi, ma per Abbate sono anche gelosi, invidiosi, possessivi, ossessivi, innamorati e pazzi, pronti a uccidere per non rinunciare a una conquista perlopiù raggiunta dopo lunghi sacrifici, sansoni decisi a fare crollare sulle loro teste il tempio che con amore hanno edificato per proteggere le proprie donne. Bastardi nel senso (dato soprattutto in Sicilia alla parola) di diversi perché malvagi, ma con un significato di malvagità che allude alla bestialità e all’ignominia, quella che non può mai trovare giustificazione e che gli antichi greci conoscevano bene col nome di “hybris”, tracotanza mista a orgoglio. 
Ma rimane un motivo di perplessità: si può generalizzare e comprendere tutti gli uomini rei di atti persecutori in una categoria o piuttosto ogni caso fa storia, anche giudiziaria, a sé? Abbate chiude allora la sua agghiacciante rassegna, posta sotto l’esiziale rapporto eros-thanatos, con la vicenda dei sardi Valentina e Giuseppe: un delitto scongiurato grazie a una macchina giudiziaria arrivata eccezionalmente in tempo. Per dirci che occorre fare prevenzione, perché lo stalking è una vera e propria malattia sociale.

Articolo uscito il 27 maggio 2018 su la Repubblica-Palermo