Aveva ragione Calibano nella Tempesta di Shakespeare a dire di Prospero il mago che per liberarsi di lui bisognava togliergli i libri. Che sono molto pericolosi. Seby lo sa: la madre detenuta per omicidio ne ha scritto uno per dire le proprie ragioni, ma al prezzo di rivelare verità a suo danno. Un libro sulla madre assassina vuole scriverlo anche Andrea, giornalista precario, convinto che si può essere innocenti anche se dichiarati colpevoli e che si è vittime nel momento in cui si diventa carnefici.
Massimo Maugeri in Cetti Curfino (La Nave di Teseo, pp. 254, euro 18, romanzo nato da un racconto trasposto poi in una piéce teatrale) affronta il tema della violenza sulle donne dando al femminicidio un’accezione inesplorata, rivestendola di un senso di ingiustizia che si fa disumanità e motivo perciò di una reazione che trova giustificazione nel diritto naturale, un giusnaturalismo risospinto alla sua fonte, il dramma di Antigone che disconosce la giustizia dello Stato, e arriva fino alle convulsioni sociali del Borghese piccolo piccolo.
Il romanzo si costituisce come un giallo nel quale, con bella tecnica narratologica, si conosce l’assassino, si intuisce via via il movente ma non si sa chi è la vittima se non alla fine, quando in realtà tutti i “sospetti” gravano su un’altra figura. Questo rovesciamento del canone poliziesco bene si integra con il capovolgimento della morale laica che addensa colpe sull’assassinato e fa dell’assassina confessa una giustiziera mossa da un impulso coscienziale che sembra derivare da un istinto primordiale.
Cetti Curfino è una bellissima donna molto desiderata che rimasta vedova, con un figlio tentato e conquistato dalla strada, in una Catania (la città dell’autore) appena suggerita, cede a rendersi oggetto di maldicenza al solo scopo di affermare, sul modello di condotta corrente, al quale sono innanzitutto richieste riservatezza e cognizione del ruolo di donna, il primato della dignità femminile e di una nuova consapevolezza, nella certezza che una donna chiacchierata non vale meno di una angheriata. Cetti Curfino non si fa vendetta, non avanza attenuanti, non si sottrae alla pena, ma chiede solo di essere ascoltata: perciò prima scrive un diario al commissario e poi un libro perché il mondo senta il suo grido di angoscia e di rabbia. E’ il suo urlo così contemporaneo che, chiudendo alla fine il libro di Maugeri, sentiamo riecheggiare. Un urlo di donna che sostituisce il viandante di Munch e si infrange contro le nostre coscienze sorde.