Andare a teatro all’alba? Da oltre quindici anni è quanto invitano a fare il Calatafimi Segesta Festival e il Teatro dei due mari di Tindari. Può apparire una stravaganza ma non è che un antico retaggio pervaso anche di una certa sacralità pagana. Vincenzo Pirrotta che domattina alle 5 rivisiterà a Segesta il “Don Chisciotte” e Vittorio Sgarbi che alla stessa ora di sabato illustrerà a Tindari Antonello da Messina possono essere visti allora come ierofanti di remoti sortilegi, mistagoghi di riti che evocano la nostra originaria civiltà. Un retaggio appunto, se si pensa che le Grandi Dionisie e le Lenee ateniesi, cioè gli agoni teatrali della Grecia classica, cominciavano sempre alle prime luci del giorno e si concludevano alle ultime del tramonto: anche perché ispirare inizio e fine del giorno alla magia del sole che nasce e muore significava allora come oggi riempire gli spettacoli e gli animi degli spettatori di un senso di compenetrazione alla natura che rende mistici gli uni e spirituali gli altri.
Per fare questo era però necessario che i teatri si offrissero ai migliori panorami e alle più superbe perfomance solari. E infatti non c’è cavea in Grecia né in Italia che non si apra sugli sfondi paesaggistici giustappunto più spettacolari. A Segesta come pure a Tindari, la grande bellezza ancora oggi si sublima nella parola affidata al rapimento del paesaggio che dal buio delle torce passa ai chiarori del cielo, dove il sole si alza luminescente dietro gli attori a cadenzare lento la recitazione. Facile ritrovarsi antichi greci a Epidauro. Dove l’alba non segnava solo l’inizio dei drammi, ma anche un momento di celebrazioni nelle più suggestive condizioni naturali: si incoronavano i cittadini benemeriti, si proclamavano cittadini i figli dei soldati caduti, si ostentavano i tributi degli alleati e si sacrificava agli dèi mescendo libagioni davanti alla statua di Dionisio.
Il nume del teatro, che intesta le rappresentazioni segestane chiamate “Dionisiache”, ha compiuto nella grande piana tra il teatro e il tempio un prodigio congiungendo, come fossero Urano e Gea, l’alba e il tramonto, “che a volte si incontrano”, dice il sindaco di Calatafimi Vito Sciortino. Succede spesso infatti che uno spettacolo spenga le luci a notte fatta e alle 4 apra il botteghino per quello dell’alba. Così è stato per Teresa Mannino che ha lasciato il palco - e il pubblico - a Graziano Piazza arrivato qualche ora dopo per la prima delle tre albe teatrali di quest’anno. E se nell’antica Attica era la luce del giorno a illuminare le Grandi Dionisie, nella Segesta di oggi sono i bagliori della notte a rischiarare le Dionisiache offrendo la stessa emozione che colse Michele La Tona quando, essendo inguaribilmente insonne, si trovò nel teatro di Segesta una notte d’estate del 1999 e vide davanti a sé sorgere il sole. «E se adesso ci fosse il pubblico e sull’orchestra spuntasse un attore?». Fu così che da direttore artistico fondò le “albi teatrali”, qualche anno dopo adottate anche a Tindari con uguale successo, segno che erano non solo una felice trovata ma anche un originale brand autenticamente made in Sicily. Che però non può essere riprodotto ovunque e comunque.
«Provai a portare a Palermo le mie albe - ricorda La Tona - ma non funzionò. Occorrono pietre antiche e distanti dai rumori della città nonché un silenzio rotto solo dai suoni della natura perché si accenda nello spettatore un fremito che stabilisca un aggancio metafisico con il creato». Questo miracolo si ripete ogni anno sotto le stelle di agosto per circa quattrocento persone che si raccolgono sulla cima di Monte Barbaro, davanti al mare del Golfo e alle colline che fanno da fondale all’orchestra. «Le nostre albe teatrali sono la punta di diamante del festival - dice Nuccia Placenza della Proloco calatafimitese. - La gente viene per assistere a due spettacoli: il recital e l’alba». Attratti da natura e cultura insieme, gli spettatori si mutano in turisti e spingono l’economia locale. La Proloco ha calcolato che, giunti oggi a metà del programma, i pernottamenti alberghieri dei soli attori e degli addetti alle Dionisiache sono stati 2650, pari a circa 75 persone: una percentuale minima rispetto a quanti arrivano in privato e si sobbarcano a fatiche fisiche non indifferenti seppure ripagate nello spirito.
La Tona ricorda nitidamente la prima alba teatrale: «Un avvenimento strano, oggi copiato in tutte le riviere estive. La gente venne per curiosità pagando diecimila lire. Si esibirono Giancarlo Dettori e la moglie Franca Nuti, dopo i quali si scatenò un violento acquazzone: per cui la prima alba teatrale non vide il sorgere del sole. Che è davvero uno show a Segesta. Ricordo la volta in cui due coniugi tedeschi ritennero di dover pagare il biglietto per stare seduti nella cavea e assistere all’alba. E grande fu la loro meraviglia quando videro spuntare gli attori e li sentirono recitare Shakespeare. Per loro lo spettacolo da godere era solo quello offerto dalla natura, sufficiente a giustificare il biglietto». Per Filippo Amoroso che da sedici anni dirige il festival di Tindari molto dipende però dal nome degli ospiti: «All’alba di sabato per Vittorio Sgarbi mi aspetto un numero superiore alla media abituale di 250 spettatori». Non è d’accordo La Tona, secondo il quale il successo dell’idea non è legato al nome di richiamo: «Sono il teatro della natura e la natura nel teatro a risultare determinanti». È però anche vero che le più affollate albe teatrali sono state quelle del 2004 e del 2005 con Giorgio Albertazzi per il quale si alzarono in piena notte oltre 1500 persone. Lui ricambiò dedicando all’alba teatrale di Segesta ben sette minuti del suo documentario biografico.
Sgarbi è entusiasta dell’appuntamento che lo attende: «L’alba mi è una confidente abituale perché, lavorando molto di notte, la vedo spessissimo. Devo ancora verificare se potrò servirmi, viste le condizioni di luce, di pannelli che riproducano dipinti di Antonello, ma certamente farlo all’alba in un teatro antico è un’idea davvero seducente».
Non la pensa diversamente Pirrotta, non nuovo a Segesta: «Leggerò brani del “Chisciotte” nel 400esimo anniversario della morte di Cervantes e poi mi soffermerò a parlare di lui e del suo capolavoro stilato in due tempi». La terza alba di una stagione che si prolungherà fino al 4 settembre con un ricchissimo cartello di spettacoli al tramonto sarà di Giuseppe Pambieri che il 20 agosto racconterà Pirandello. Non a caso un terzo monologo, perché la regola è quella introdotta da La Tona che ne ha scoperto il segreto: «L’alba induce all’intimità. Basta una sola voce per crearla. Al resto ci pensa la natura, che ha già una sua compagnia».
Articolo pubblicato oggi su la Repubblica di Palermo