venerdì 27 luglio 2012

"Natività", Sciacia sapeva chi l'aveva rubato?


Quando, in Una storia semplice di Sciascia, “l’uomo della Volvo” dice al questore di aver visto arrotolare un tappeto di tela grezza e ruvida, che quindi è più probabilmente un dipinto, a quale quadro può riferirsi se non a quello che è il più ricercato degli ultimi quarant’anni? Prima di morire Sciascia aveva dunque – ancora una volta – intuito nel 1989 qual era stato il destino della Natività del Caravaggio, scomparso vent’anni prima a Palermo?
Nel suo libro appena uscito da Sellerio, Il Caravaggio rubato, Luca Scarlini adombra questa ipotesi ma purtroppo non la verifica. Eppure a ricondurre l’ultimo enigmatico libro di Sciascia al Caravaggio è una concomitanza che non può essere anche una coincidenza: nel romanzo il quadro anonimo viene infatti ritrovato in una raffineria clandestina di eroina gestita dalla mafia così come, secondo una delle piste più battute dai carabinieri, sarebbe successo al quadro trafugato nell’Oratorio del Serpotta: fatto seppellire dal boss Gerlando Alberti insieme con il suo tesoro, costituito da due milioni di dollari e due chili di droga. E allora Sciascia seppe, o capì, che la verità era molto “semplice”? Ma quali furono le sue fonti diverse dalla riconosciuta capacità di interpretare la Sicilia? “U’ Paccarè”, alias Alberti, è morto senza rivelare il segreto del dipinto, sebbene il suo trafugamento da tempo non costituisca più reato essendo caduto in prescrizione. Rimane perciò il fulminante libretto di Sciascia come chiave, a rileggere il quale si schiude un orizzonte rimasto inesplorato.
Oggi la matrice mafiosa circa il colpo dei colpi sembra comunque ormai accettata, ancorché Scarlini si premuri di ricordare anche le ipotesi comuni, dal furto su commissione ventilata da Raffello Causa al riscatto proposto a imprecisate organizzazioni malavitose siciliane da un gruppo di studiosi capeggiato da Maurizio Marini fino al vertiginoso teorema imbastito dal giornalista inglese Peter Watson, del cui libro mai tradotto in Italia si è innamorata la Bbc, decisa a farci una fiction dove entrano servizi segreti deviati, camorra, falsi mercanti e addirittura il terremoto in Irpinia tra le cui macerie il dipinto sarebbe andato distrutto.
E’ per queste vie che il quadro palermitano diventa mitografia, tant’è che Scarlini si sente autorizzato a sottotitolare il suo libro “Mito e cronaca di un furto”: a designare i due versanti lungo i quali la decennale vicenda si è articolata ispirando fiction televisive, romanzi, rappresentazioni teatrali, film e una mole smisurata di servizi giornalistici.
Mito e cronaca dunque. Il primo conduce oggi nel ventre molle della coscienza palermitana che non ha mai elaborato la perdita del quadro finendo per doverla esorcizzare con iniziative come quella degli Amici dei musei siciliani che invita ogni anno un artista a riprodurre La Natività perché sia ricollocata nell’Oratorio al posto dell’originale fino al 17 ottobre, giorno del furto. La mancanza del quadro ha nel tempo alimentato tanto il mito da incoraggiare il gusto del d’après: alla copia di Paolo Geraci, contemporaneo del Caravaggio, conservata al Civico di Catania, si è aggiunto da poco un altro rifacimento, in mano ai privati e dimorato a Palermo, opera del saccense Calogero Termini.
Ma superato il mito resta la cronaca. Scarlini fa bene a tenere per prima “l’ipotesi Ferdinando Musella”, l’ufficiale dei carabinieri a capo del reparto impegnato nella tutela del patrimonio culturale. Secondo la sua ricostruzione, il furto sarebbe stato compiuto (maldestramente peraltro perché la tela venne danneggiata nell’asportazione) da due ladruncoli che avrebbero poi ceduto l’opera al boss Gaetano Badalamenti dal quale sarebbe poi finita ad Alberti. La tela sarebbe stata esposta per anni durante i summit della mafia perdente come emblema di potere ma anche come segno di devozione. In mano ai corleonesi, secondo il pentito Giovanni Brusca, costituì poi oggetto di trattazione con lo Stato per l’ammorbidimento del 41 bis mentre, a stare a un altro pentito, Gaspare Spatuzza, fu nascosta in una stalla dove sarebbe stata «mangiata dai topi e dai maiali».
La speranza di riavere dunque il quadro, la più grande “primula rossa” della storia recente della Sicilia, va sempre più assottigliandosi: nello stesso momento in cui si moltiplica invece l’interesse per Caravaggio in Sicilia (epifrasi divenuta un topos) e per il suo dipinto rubato. Scarlini (che pure pecca quando si avventura in fantasiose teorie, come quella secondo cui i ladri sarebbero stati spinti al furto dopo aver visto un documentario in televisione sull’Oratorio di San Lorenzo) può dunque concludere: «Tutte le iniziative di recupero culturale in Sicilia negli ultimi decenni sono sotto il segno di questo dipinto, come se con quel ratto scriteriato si fosse dato un punto di non ritorno, un approdo finale alla sospensione del diritto collettivo, a favore dell’arbitrio della malavita».