giovedì 1 maggio 2014

Un minuto di silenzio, anzi due millenni



Ieri sera, all'inizio della partita Chelsea-Atletico Madrid, durante il minuto di silenzio per la morte di Vilanova e Boskov il pubblico ha applaudito per tutto il tempo mentre la sera precedente nella semifinale Bayern-Real Madrid le tribune erano rimaste zitte.

Un modo diverso e antitetico per commemorare le stesse persone e celebrare lo stesso rito di omaggio. Qual è dunque quello corretto? Quello inglese o quello tedesco? 
Se si tratta di osservare il silenzio va da sé che è richiesto stare in silenzio, il quale integra una forma di raccoglimento liturgico, come di chi sta in chiesa. Ma anche in chiesa è da molti anni invalso il rituale dell'applauso, sentito come una manifestazione di maggior vicinanza e un attestato di merito per quanto il defunto ha fatto in vita. 
Ed ecco la differenza: applaudire vuol dire ricordare la vita e le opere compiute nel passato, stare in silenzio significa rispettare la sacralità della morte e volgere un mesto e mistico sguardo all'eternità. Non vale in realtà misurare la profondità del silenzio o l'intensità dell'applauso per verificare l'affetto del pubblico, perché possono valerlo entrambi, né si può pensare che si applaude per esprimere una partecipazione attiva dal momento che il silenzio può essere ancora più attivo e mettere i brividi quanto un fragoroso applauso. 
Vale invece il legame con il defunto e il vuoto che ha lasciato: applaudirlo è una forma di evocazione e di richiamo alla vita, rispettarne la scomparsa tacendo è un viatico per un riposo che sia di pace. Sicché quanto più una persona manca a chi resta tanto più è applaudita, e tanto meno ne sentiamo il vuoto, tanto più preferiamo tributargli un minuto di silenzio? Non è così, è ovvio.
Se pensiamo alle consuetudini militari in onore dei caduti troviamo le stesse forme divergenti secondo epoche storiche e popolazioni: si va dal suono della tromba nel silenzio assoluto delle truppe alle urla tirtaiche e al canglore delle armi fatte risuonare rumorosamente. Abbiamo anche assistito a inni, canti e canzoni intonati in occasione di decessi illustri e nelle chiese siamo ormai abituati a sentire cantare anche durante il momento di massimo raccoglimento dell'eucarestia. Da sempre poi il silenzio viene chiamato con un celebre motivo musicale dove una tromba rompe appunto il silenzio.
Applaudire o tacere dunque? Cosa è più consono al significato della morte? La Bibbia stabilisce un'equivalenza tra silenzio e morte. Scrive per esempio che "la terra si ridusse al silenzio" davanti ad Alessandro il Macedone. Ridurre al silenzio significa sterminare, cancellare la vita. Un salmo biblico loda il Signore perché con la sua potenza riduce al silenzio nemici e ribelli mentre altrove la preghiera a Dio risuona in queste parole: "A te grido, Signore; non restare in silenzio, mio Dio, perché, se tu non mi parli, io sono come chi scende nella fossa". E troviamo ancora: "Se il Signore non fosse il mio aiuto, in breve io abiterei nel regno del silenzio". Può bastare per convenire che il silenzio è sinonimo di morte e va osservato per sottomettersi ad essa e al suo mistero. 
Ma imporre il silenzio non significa evocare la morte quanto affermare un potere. "Taci e ascolta" ingiunge Mosè al popolo di Israele. Che vuol dire anche "Taci e prega". In realtà si prega in silenzio. Gesù Cristo rimprovera nel tempio quanti pregano a voce alta e si girano indietro per accertarsi che i sacerdoti li vedano e perciò approvino. Ma già al tempo della prima chiesa la preghiera collettiva è praticata come forma di creazione del consenso, chiamato "consensus ecclesiae", nel presupposto - contrario alla parola di Cristo - che pregare insieme valga a farsi ascoltare di più. Nello spirito del cristianesimo è piuttosto la preghiera individuale ad avere valore, purché rivolta ad ottenere la grazia divina in favore non di se stessi ma di altri. Non si prega infatti per se stessi ma per gli altri, come ci insegnano gli stessi pontefici che, pur essendo i più vicini alle orecchie di Dio, invitano continuamente i fedeli a pregare per loro. E si prega in maniera discreta, così come facevano i monaci non in capitolo.
Possiamo dunque stabilire che chi osserva il silenzio davanti a un defunto ripete e ripropone la preghiera intima mentre chi applaude è come se pregasse ad alta voce e in comunità. Si perpetua e ricrea in sostanza l'equivoco che da sempre circonfonde la preghiera e la sua liturgia, se valga di più agli occhi del Cielo quella collettiva, ecclesiale, o quella in interiore animae, individuale e personale. Intanto che la dottrina della fede ci dica chi ascoltare, Cristo o il Vaticano, noi applaudiamo o taciamo nei funerali e nelle commemorazioni allo stadio secondo impulsi, motivi e ragioni che nemmeno sappiamo spiegarci.