Ha fatto scalpore, in un'Italia pronta a indignarsi e a commettere le peggiori nefandezze, perbenista e benpensante in pubblico e del tutto smodata e scellerata in privato, la dichiarazione di Grillo a Palermo sulla mafia, distinta in quella morale di un tempo e in quella senza regole di oggi. Non è stato che l'ultimo a dirlo.
Già Camilleri nella sua opera ha sempre tenuto a separare l'onorata società del passato, attribuendole se non meriti certamente regole. Esemplare la figura ricorrente del capomafia Balduccio Sinagra che fa fire così al padre di Montalbano: "La vecchia mafia aveva un suo codice. Orrendo, mostruoso, tutto quello che si vuole, ma 'codice d’onore'. Per esempio, in nessun modo dovevano essere ammazzati donne, vecchi e bambini. Quindi, anche per Balduccio, può esserci un limite all’orrore. Per esempio, lui non avrebbe mai dato l’ordine di strangolare per vendetta un bambino e scioglierne il corpo nell’acido". Camilleri ha così chiara la distinzione che in La gita a Tindari fa dire a don Balduccio che i tempi sono cambiati, che sono venuti meno le regole e i limiti e che suo nipote Japichinu rischia di fare una brutta fine per mano della nuova mafia emergente.
Del resto un padre spurio di Camilleri, Giovanni Verga, ha dato anch'egli in "La chiave d'oro", una interpretazione della vecchia mafia fondata su una morale tutta girata a legittimazione della mafia stessa. Così anche Sciascia che nel Giorno della civetta arriva a nobilitare Don Mariano come uomo d'onore e di rispetto, portatore di una moralità che si è poi infranta contro il muro alzato dalla nuova mafia dei Corleonesi.
Cosa ha dunque detto di tanto scandaloso Grillo se ha solo riecheggiato i principali scrittori siciliani e ricordato qual è stato il ruolo della "vecchia mafia"? Non ha precisato in verità quale ma la storia gli è testimone.
Come ormai concordano quasi tutti gli storici, dopo la Seconda guerra mondiale la mafia ha operato non solo in Sicilia come una Gladio insediata in funzione anticomunista. La Democrazia cristiana si rivolse ai boss per avere il consenso necessario a fronteggiare l'insorgenza comunista, divenuta una realtà dietro l'angolo in Italia soprattutto dopo la vittoria elettorale del Blocco del popolo, e dietro di essa vennero gli imprenditori e gli aristocratici, tutti in cerca di protezione contro lo spauracchio comunista.
Di fatto a difendere la democrazia è stata la mafia, che ha vissuto in quell’epoca il periodo della sua massima legittimazione legando a sé la politica in una scellerata ma santa alleanza. Una lunga intesa conclusa poi con lo sgretolamento dell’Urss e della Jugoslavia nonché con la caduta del Muro di Berlino, un’intesa il cui epilogo e le cui conseguenze sono stati rappresentati molto lucidamente dal boss Antonino Giuffré a Pietro Grasso, capo della Superprocura: l’America non aveva più visto l’Italia strategicamente anti-comunista né avuto più bisogno della mafia come baluardo contro il Pci e di conseguenza la Dc ne aveva preso le distanze, ma appena il tempo di una breve stagione perché si era poi smembrata anch’essa per iniziativa dei magistrati di Mani pulite. Ne sarebbero venuti l’uccisione di Lima, le stragi e, dopo Riina, l’imperativo di Provenzano “Basta scruscio”, nessun rumore, reiterato da Messina Denaro nei termini di una manovra di retroguardia. Ne sarebbero venute anche due guerre di mafia e la vittoria su tutto il campo dei Corleonesi, interpreti della nuova mafia del business e delle speculazioni. Alla mafia rurale e onorata si sostituiva quella di città e affaristica, massonica, internazionalizzata e politicizzata.
Questa differenza tra vecchia e nuova mafia è ben presente nella storia italiana ed è ormai un dato acquisito. Ma evidentemente non bisogna dirlo e ricordarlo. Né si deve ricordare che persino Giovanni Falcone ebbe una volta a dire che la mafia, non quella vecchia, gli aveva dato una lezione di moralità.