giovedì 21 maggio 2015

Il trasformismo alla siciliana

L'Aula dell'Assemblea regionale siciliana
Articolo apparso il 20 maggio 2015 su Repubblica Palermo


Quando a marzo Pippo Civati (oggi ex del Pd) riconduceva alla categoria del trasformismo la politica del suo partito in Sicilia, intesa ad accogliere forze e nomi estranei e a volte antitetici, non indicava solo il rovescio di un fenomeno da osservare anche dal lato di chi favorisce il trasformismo oltre che da quello di chi lo ricerca (assimilando così il partito al deputato regionale), ma elevava questo costume a pratica ammissibile come regola e perciò perseguibile.  

Faceva ancora di più: riportava nell’ordine di quel consociativismo connaturato alla Prima repubblica una dinamica le cui modalità sono state ben prodotte già nell’Ottocento nell’iniziativa della Sinistra storica di Depretis come in quella di Crispi e del liberale Giolitti: a indicare un’azione politica che parte dalla maggioranza e punta a depauperare l’opposizione, assecondando quella “rivoluzione passiva” che Gramsci vedeva nel rivolgimento dello scacchiere parlamentare senza intervento del corpo elettorale. 
Non si tratta della “rivoluzione” preconizzata da Crocetta e ancora oggi da tutti attesa, bensì di un processo di trasformazione della rappresentanza parlamentare e dei suoi criteri di ubicazione che, per venire da un partito, può sortire esiti antidemocratici, a parte gli effetti di contaminazione dei valori ideologici e di perdita di riferimenti con la base. Era dunque inevitabile che la denuncia di Civati sollevasse pugnaci proteste anche all’interno del Pd, perché ha scoperto ancora di più i nervi che intessono la questione. Che è una vera e propria questione siciliana, molto più sentita oggi per via del numero di transfughi presenti all’Ars e recentemente calcolati da questo giornale nella media record di uno su due. 
Sennonché Civati non parlava più di consociativismo quanto di “scambio”, sfera di interessi opportunistici e conformistici che costituisce uno stadio avanzato e pone le parti sullo stesso piano non più di condivisione e di confronto ma di rivendicazioni e di dazioni entro una più stretta relazione; sfera che tuttavia promana da quel “confusionismo” che fu la prima accezione con la quale il trasformismo si presentò a fine Ottocento e fu mutuato nel romanzo di Federico De Roberto L’imperio: dove la condizione del transfuga legato appunto al confusionismo viene rappresentata nella forma di una sana teoria politica.
Seguendo Consalvo Uzeda mentre va a una riunione, De Roberto gli instilla infatti il convincimento dell’incongruità del vincolo di mandato: “Vincolato?... Dov’era il vincolo? A che cosa obbligavasi? Quale carta sottoscriveva? Forse perché andava a quella riunione perdeva la potestà di regolarsi a modo suo, di votare secondo gli conveniva, di mettersi più tardi, nel momento della battaglia, dalla parte di chi aveva maggiori probabilità di vittoria?”. In base a questi presupposti Consalvo può dunque dire pubblicamente: «Il Paese è d’un solo partito: nessun conservatore nega il progresso, e tutti i progressisti riconoscono la necessità di conservare una quantità di cose. Non mancano gli intolleranti in un senso e nell’altro, ma quanti sono?». E’ lo stesso deputato che appena eletto, pur ammettendo che a ricredersi possa essere un singolo parlamentare, si chiede “come è mai possibile” che lo sia anche un partito, finendo poi per concepire invece un fondo di giustizia e il credo in un’idea di buona politica nell’accordo di cooptazione, per il bene del Paese, tra maggioranza e opposizione, dove è la prima a fagocitare la seconda. Uzeda fa dopotutto sua la visione di Petrarca secondo il quale “non è da incostante ma da prudente orientare le vele secondo il mutare dei venti”. 
Questa logica che volge un danno collettivo in un vantaggio individuale e fa di un male esecrabile un bene auspicabile è uno dei caratteri tipici della politica siciliana e ancor prima della identità isolana. Vale il solo caso di Gelone di Siracusa, che non intendendo parteggiare né per i Greci né per i Persiani inviò una sua ammiraglia colma di regali da destinare a chi avesse vinto la battaglia navale, pronto a passare da un’alleanza all’altra seppure contrapposta. In tempi più recenti, tale ambivalenza (una forma anch’essa di trasformismo alla siciliana, per cui è il doppio a dettare i modi dell’etica comune) la ritroviamo riprodotta in La Lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini, dove don Pericle, “dubitando della stabilità delle case regnanti”, tiene arrotolate da parte tutte le bandiere, e in Il vecchio con gli stivali di Vitaliano Brancati, apologo rovesciato di un nicodemico antifascista che si ritrova addirittura squadrista ma viene licenziato dopo la Liberazione per aver finto troppo. 
Il trasformismo si presenta dunque in Sicilia sotto l’aspetto dell’infingimento e come tale non può essere visto nell’ottica conformistica di Consalvo Uzeda ma nell’altra mistificatrice di Civati. E in questa luce l’ha considerata anche il presidente della Commissione antimafia Nello Musumeci quando propose un Codice etico (rimasto congelato) che anziché il singolo deputato che cambia Gruppo parlamentare intenderebbe punire con una multa di 500 euro al mese proprio il Gruppo che promuove e accetta la cooptazione: sancendo così l’insorgenza manifesta di una questione che Civati ha posto per ultimo nei termini di un’attribuzione di responsabilità di tipo istituzionale e per questo molto più grave e urgente. 
Ma se le cose stanno così, il rimedio non può che essere di pari portata: forse è giunto il momento di pensare a rimedi estremi quale l’istituzione in Sicilia di un surrogato del vincolo di mandato, uno strumento che impedisca la transumanza anche attraverso l’espresso divieto - politico e morale se non giuridico - imposto ai Gruppi di iscrivere deputati non eletti nelle liste di riferimento. Il fatto che il caso aberrante di Nello Dipasquale, che partendo dalla Dc ha baciato pressoché tutte le bandiere, compresa quella di Cateno De Luca, non abbia destato in ambito politico alcun rossore spiega l’interesse generale a considerare la libertà di mandato una licenza di errare ma dà anche prova di quanto pernicioso sia diventato un fenomeno che è il padre di ogni guasto attuale, dall’ingovernabilità alla corruzione.