Non sempre Elvira Sellerio e Leonardo Sciascia furono d’accordo. Li divise per esempio Serafino Amabile Guastella, del quale Sciascia intendeva fare ripubblicare le cose migliori affidandone la cura a Salvatore Silvano Nigro.
Elvira era contraria perché nello scrittore di Chiaramonte non vedeva un narratore ma un etnologo e dunque pensava a un ricercatore di tradizioni popolari come Nino Buttitta piuttosto che a un letterato. È stato proprio Nigro a rivelare la vicenda in un libro.
Elvira era contraria perché nello scrittore di Chiaramonte non vedeva un narratore ma un etnologo e dunque pensava a un ricercatore di tradizioni popolari come Nino Buttitta piuttosto che a un letterato. È stato proprio Nigro a rivelare la vicenda in un libro.
In realtà la compianta regina dell’editoria siciliana chiedeva di essere convinta di avere torto, sicché consultò anche Vincenzo Consolo e lo stesso Nigro, i quali - pur essendo uno narratore e l’altro critico - alla fine le diedero invece ragione e persuasero per di più Sciascia ad accettare Guastella nella veste di erudito demopsicologo che non in quella di preverista. Tuttavia non se ne fece niente per cui Guastella non sarebbe mai stato pubblicato dalla Sellerio, segno che la signora Elvira non era del tutto convinta circa la natura di folclorista dell’autore de Le parità. Non si sbagliava a dubitare anche di se stessa. Se avesse atteso fino al 2000 avrebbe avuto conferma delle ragioni non solo di Sciascia ma anche di Calvino che consideravano Guastella un narratore puro molto prima che uno studioso. Nel 2000 esce infatti il romanzo inedito Due mesi in Polisella, scoperto e pubblicato da chi scrive, che consacra la prevalente vocazione di Guastella all’invenzione letteraria e premia l’intuito di Sciascia. Senonché si tratta di un romanzo incompiuto, sebbene abbandonato dopo ben quindici capitoli sui venticinque progettati e portato fino a quattrocento pagine. Ma perché Guastella rinuncia al suo monumentale romanzo e ne riversa brani in Padre Leonardo, la sola novella che pubblica delle nove in programma, così decidendo di non riprenderlo più? Di quale trauma, a un certo punto, rimane vittima?
Gli anni Settanta dell’Ottocento portano in Sicilia un particolare gusto romantico di tipo rivoluzionario e illuministico che, mutuando il naturalismo francese, si precisa in un regionalismo imbevuto di scientismo e positivismo dal quale nascono due correnti opposte: il verismo e lo studio dei costumi popolari. Guastella sta scrivendo Due mesi in Polisella, echeggiando senza saperlo la Nedda di Verga, quando rimane sequestrato come tutti gli eruditi del suo tempo “tra atteggiamento artistico e scientifico in uno sforzo di equilibrio instabile”, per dirla con Gentile.
Gli anni Settanta dell’Ottocento portano in Sicilia un particolare gusto romantico di tipo rivoluzionario e illuministico che, mutuando il naturalismo francese, si precisa in un regionalismo imbevuto di scientismo e positivismo dal quale nascono due correnti opposte: il verismo e lo studio dei costumi popolari. Guastella sta scrivendo Due mesi in Polisella, echeggiando senza saperlo la Nedda di Verga, quando rimane sequestrato come tutti gli eruditi del suo tempo “tra atteggiamento artistico e scientifico in uno sforzo di equilibrio instabile”, per dirla con Gentile.
Entrando in corrispondenza con Giuseppe Pitré, il suo destino di narratore viene seriamente minato: anziché alzare lo sguardo oltre gli Iblei e scorgere i “villani” in compagnia di Verga, li osserva a distanza per studiarli invece che raccontarli, rimanendo così preda della sua vasta dottrina e facendosi militante della stagione pitresca nella cui maglie rimane definitivamente e malauguratamente impigliato.
A differenza di altri ricercatori quali Avolio e Salomone Marino della stessa area iblea, quel che fa è di indulgere nei documenti trasmessi a Pitré in uno stile letterario che finisce per irritare il caposcuola palermitano tanto da venire infine richiamato.
Avrebbe potuto, già prima di Verga, notomizzare da narratore il ventre della Sicilia se solo, anziché rispondere ai precetti del positivismo, si fosse lasciato attrarre dai richiami del naturalismo e invece di starsene a scrutare la “gentuzza” dal suo balcone baronale fosse sceso in mezzo ad essa. Volle brillare come erudito e interpretò in senso scientifico l’appello a ricercare l’antica madre, quando se avesse messo il suo talento letterario al servizio della stessa causa avrebbe avuto ben altro posto.
Fu dunque lui per primo a ingenerare il dubbio, anche negli altri demopsicologi, circa il suo più autentico spirito di scrittore, dubbio che è arrivato anche in Via Siracusa a Palermo e ha diviso oltre cento anni dopo, nella stessa città dove aveva operato quel demone tentatore di Pitré, coscienze di un’altra età ma dello stesso sentire: letterati da un lato e studiosi da un altro.