sabato 12 agosto 2017

Regionali siciliane, una variante de "Il trono di spade"


La deriva di cui la politica italiana è preda dopo il crollo della Prima repubblica, la caduta dei partiti e la fine delle ideologie, a favore di un pragmatismo che ha significato il più corrosivo e corrivo trasformismo, ha raggiunto punte dove è possibile vedere, come per le prossime Regionali in Sicilia, candidati che si offrono alle liste migliori.
Non sono più soltanto i partiti che decidono il proprio schieramento, se a destra o a sinistra, in base a ragioni di opportunità legate a occasioni di governo, ma anche i singoli candidati hanno maturato l'intento di correre indifferentemente in Forza Italia o nel Pd, nella considerazione, ahinoi fondata, che gli elettori non votano più secondo fede politica e convincimenti ideologici ma in vista di un tornaconto personale, il voto apparendo un prestito da restituire con un vantaggio.
Sta invalendo perciò il costume di candidati pronti a scendere in pista ma fermi ai bordi in attesa di decidere quale maglietta indossare, come giocatori al calciomercato. La scelta dipende dal peso elettorale del candidato e dalla forza della lista. Questa logica è la conseguenza diretta della perdita degli ideali che dalla società ha contaminato la politica permettendo ai partiti di regolare secondo convenienza la propria posizione sullo scacchiere del vecchio arco costituzionale, quello che andava da una destra identificata con gli ideali conservatori e a volte reazionari, passava da un centro nel quale si riconosceva il mondo cattolico e arrivava a una sinistra che raccoglieva i sentimenti progressisti e proletari.
Era inconcepibile immaginare un elettore che credesse nella libertà di iniziativa economica e favorisse nello stesso tempo la coscienza di classe o le nazionalizzazioni; oppure rifiutasse il divorzio e l'aborto ma poi sostenesse la libertà sessuale e la droga libera. 
Fino alla metà degli anni Novanta gli italiani si distinguevano nei valori che propugnavano, valori che sono ancora oggi radicati nella coscienza comune, né potrebbe essere diversamente, ma che non è più la politica a interpretare e soddisfare, essendo diventati meri postulati etici ai quali conformare la propria condotta senza alcun intento di condivisione e con il risultato di determinare le condizioni per creare stati di incomunicabilità e individualismo. 
Il crescente calo di partecipazione politica non è solo frutto della modestia degli attuali leader, nessuno dei quali nato e formato in un partito, dentro dunque una scuola di pensiero e azione che costituisse un'accademia di idee e progettualità, ma soprattutto della consapevolezza che non è più la politica a poter promettere la realizzazione della propria visione del mondo. 
Se gli schieramenti non sono netti, alternativi e inconciliabili, come sono le idee di ciascun elettore, non ha senso esercitare una forma di rappresentanza passiva che significherebbe soltanto favorire gruppi oligarchici o singoli tribuni dei quali è del tutto incerto il mantenimento degli impegni presi e delle posizioni di partenza. 
Per restare al prossimo voto siciliano, se un trasformista come Angelino Alfano può pretendere di rimanere al governo nazionale al fianco del Pd e pensare in Sicilia a un'alleanza con Forza Italia senza con tali contorsionismi sollevare il benché minimo scandalo, anzi suscitando osservazioni che ne rilevano l'acume politico e la strategia di partito; se un pluricandidato recidivante come Nello Musumeci può porre il veto ad Alfano e poi, davanti all'opposizione di Micciché, tornare sui suoi passi e parlare di larghe intese, inglobando di nuovo Alfano, e nello stesso tempo può candidarsi, come ha fatto, prima ancora che sia formato lo schieramento che debba sostenerlo; se decine di aspiranti candidati hanno annunciato la decisione di correre per l'Ars senza dire ancora con chi, aspettando che si definiscano le candidature per la presidenza; se il presidente uscente Crocetta, eletto nel Pd, è deciso a candidarsi anche contro il veto del suo partito; se i gruppuscoli che orbitano al centro, ciuffi d'erba più che cespugli, si dimenano per trovare posto in una coalizione quale che sia; se insomma la politica italiana e quella siciliana altro non sono che un barnum di correnti, gruppuscoli, fazioni e comitati tutti riuniti in un partito unico costituito come un parlamento, l'esito che si ha è lo stesso offerto dalla serie Tv "Il trono di spade", dove i regni in continua guerra fra di loro e in un turbinoso rivolgimento di alleanze non si rendono conto di avvantaggiare il nemico comune costituito dagli Estranei, da tutti ignorati. 
Nel caso italiano e siciliano i "Morti" sono i cinquestelle, l'unica formazione che si distingua sonoramente da tutte le altre e che se perdesse i modi dei saltimbanchi e l'innato spirito populista che lo anima, dandosi una veste di partito e dismettendo quella di movimento, costruendo un'ideologia che le manca prima ancora di un programma, offrendo alla gente valori anche spirituali più che migliori occasioni, costituirebbe senz'altro il reale fatto nuovo del nostro tempo: più per demerito del "partito unico" che per meriti propri, è vero, giacché i grillini, tutti i grillini, dalla Raggi in poi, non brillano certo per capacità politiche o amministrative, per talenti nello studio del mondo (nessuno ha mai scritto un solo libro), per doti di statisti o di ideologi, per vocazione oratoria. Tuttavia fanno decisamente la differenza e in Sicilia possono realmente conquistare la maggioranza. L'unico vero avversario di Cancelleri sarebbe stato Pietro Grasso, che avrebbe raccolto voti plebiscitari, ma il presidente del Senato ha preferito ignorare l'appello di aiuto che gli è venuto dalla sua Sicilia, dando così una pessima e attualissima prova di cos'è oggi la politica: non un servizio da rendere alla comunità ma un mezzo per mettere la comunità al proprio servizio.