lunedì 12 gennaio 2009

Vigàta, uno e due


Una cocente sconfitta per la letteratura, corrispondente a una bruciante vittoria per la televisione, è quella segnata dal sindaco di Porto Empedocle il quale sta pensando di cancellare la scritta «Vigàta» dal cartello toponomastico all’ingresso della cittadina agrigentina.
Il motivo? Perché la «vera» Vigata è disseminata, secondo lui, nella provincia di Ragusa dove si gira la fiction televisiva, mentre quella empedoclina è «falsa». Qualcosa del genere è successa – e succede ancora – in riferimento al Gattopardo: il romanzo di Lampedusa, nella parte che riguarda Donnafugata, è motivo di un equivoco, ancora una volta a vantaggio di Ragusa, per via del fatto che la Donnafugata del romanzo viene identificata con il borgo ibleo di Donnafugata dove si erge anche un castello ottocentesco, mentre l’immaginaria Donnafugata, dimora estiva del principe di Salina, è più verosimilmente (nella visione di Lampedusa) l’agrigentina Palma di Montechiaro. 
Ma stavolta la sfida è con la televisione. Che ha imposto Ragusa come mondo montalbaniano esautorando Porto Empedocle. E’ vero. Ma è anche vero che la «vera» Vigàta (la prima, se vogliamo sottilizzare) è quella dove si svolgono le vicende immaginate da Camilleri, che essendo l’ecista di Vigàta dovrebbe costituire una prova certa. Nondimeno, dopo il successo della seconda Vigàta, quella televisiva, la questione non è più di grandezza anagrafica ma di grandezza mediatica. E richiede un accertamento di autenticità: quella che Camilleri ha definito «il posto più inventato della Sicilia più tipica» corrisponde, quasi nei dettagli, alla Porto Empedocle nella quale Camilleri ha ambientato l’intera sua opera narrativa, ma la Vigàta più nota al pubblico televisivo ricalca i paesaggi, le location e le scene di Ragusa, Punta Secca, Scicli, Donnalucata e di altri luoghi iblei. 
Stando così le cose, il vero problema è allora di stabilire se conta di più l’invenzione letteraria o la regia televisiva. La questione sembra essere stata risolta – a giudicare peraltro dallo sbotto di rabbia del sindaco di Porto Empedocle – a favore della serie televisiva che ha avuto un numero di spettatori non paragonabile al numero dei lettori, sicché la Ragusa di Zingaretti ha fagocitato la Porto Empedocle di Montalbano. Ma a chi ne ha letto i libri, il personaggio del commissario non può certo ricordare l’elettrizzato e plateale Luca Zingaretti, tutt’altro che siciliano anche nei modi oltre che nella parlata, senonché nell’immaginario dominante è lui il commissario. Non conta che Camilleri una volta abbia rivelato di aver incontrato il vero Montalbano: un docente sardo cinquantenne, misurato nei modi, con un po’ di pancia e soprattutto con una folta capigliatura. Tutto il contrario di Zingaretti. 
L’Italia di Montalbano si è dunque divisa in due schiere: quella che segue il ciclo televisivo e quella che legge la serie stampata. C’è una terza categoria in verità: quella composta da chi ha letto i romanzi e visto gli episodi, una categoria molto ridotta perché chi ha letto Montalbano molto difficilmente riesce a resistere due minuti a vedere personaggi e vicende che nulla hanno in comune con quelli che ha conosciuto mercé Camilleri. 
La soluzione per salvare la Vigàta empedoclina e mantenere la scritta nel cartello segnaletico è dunque facile: a cominciare dal sindaco (che evidentemente ha visto Montalbano ma non l’ha letto, altrimenti la sua reazione sarebbe stata ben diversa), i concittadini di Montalbano – e di Camilleri – leggano i libri e spengano la televisione. E facciano opera di affermazione dell’autenticità della vera Vigàta. Così facendo peraltro non solo renderanno un buon servizio al loro amato Camilleri ma contribuiranno anche a sostenere la causa della letteratura contro le imposture della televisione.