domenica 22 gennaio 2012

Ricordo (personale) di Vincenzo Consolo


Enzo è morto aspettando i Meridiani Mondadori della sua opera. Ci teneva al punto da accantonare la colpa di dover accettare che Mondadori fosse proprietà di Berlusconi. Teneva in particolare al privilegio di poter appartenere al ristretto numero di autori che in vita hanno avuto l’onore di intestare un Meridiano.
Non ce l’ha fatta. Né Segrate, sapendo della malattia, ha accelerato i tempi per esaudire l’ultimo suo grande desiderio. Stava scrivendo un romanzo Enzo e circa due anni fa mi telefonò per avere un’indicazione toponomastica che riguardava la Sicilia, segno che ancora una volta era della Sicilia che voleva narrare. Gli chiesi se era possibile saperne di più e mi rispose che me l’avrebbe detto volentieri, ma ero un giornalista. In realtà non mi aveva perdonato la volta in cui, interpretando un suo sfogo, scrissi un articolo con un titolo nel quale gli feci dire una cosa che non gli piacque: «Basta, non scrivo più». Con il suo tono più personale, tra sarcastico e ironico, la volta in cui mi chiamò, mi notificò praticamente una smentita: «Sappi solo che continuo a scrivere». Chissà se ha continuato a scrivere il suo ultimo romanzo e a che punto lo ha portato. 
Un anno prima, o forse due, un giorno d’estate andai a trovarlo nella sua casa di Sant’Agata di Militello. Aveva voglia di parlare e m’invitò a pranzo. Andammo in un ristorante in montagna. Mi avvisò che non avrebbe tollerato nemmeno un cenno che fosse uscito sul giornale. Rassicurato dopo un giuramento, si profuse in un’intemerata contro Berlusconi che gli fece freddare primo e secondo sul tavolo e che mi lasciò tramortito e deluso, essendomi aspettato e augurato una lectio magistralis di letteratura o il racconto di pagine disperse della sua vita. Poi facemmo una passeggiata a piedi e, dall’alto di una piazza di paese che si apriva su un orizzonte infinito, m’indicò uno per uno i paesi che si vedono lontanissimi, abbarbicati come nidi d’aquila. Conosceva l’intera zona come se l’avesse percorsa il giorno prima. Nell’elenco dimostrativo che mi fece vidi il Vittorini che, a Milano, su una carta geografica della Sicilia stesa davanti, chiedeva a un giovanissimo Consolo se conosceva i paesi che indicava col dito, sapendo sia l’uno che l’altro che sarebbero stati ore, seduti insieme, ad attraversare mentalmente la loro isola. Due milanesi adottivi che si erano fatti stregare dal mito dell’industrializzazione ma che non avevano mai rinunciato a immaginarsi pastori erranti. Due siciliani di sinistra che non hanno mai suonato il piffero a nessuno e che della disciplina morale hanno fatto uno stato di coscienza. Enzo me ne diede conferma non più di sei mesi fa, quando gli chiesi un articolo inedito di argomento siciliano da pubblicare su Stilos, la rivista che dirigo e ho fondato
. Ricevetti un fax di alcune cartelle. 
Si trattava di una nota in due parti: la prima conteneva, con toni violenti, di condanna assoluta, una riflessione sulla situazione politica della Sicilia con sconfinamenti alla condotta anche privata di Berlusconi; la seconda ragionava su temi propriamente letterari. Lo chiamai e gli chiesi se era d’accordo nel pubblicare la sola seconda parte. Gli dissi che era quella più appropriata e consona a una rivista letteraria che contava senz’altro anche lettori di destra. Non pensavo di poterlo convincere e avevo già programmato di dover rinunciare all’articolo. Invece mi disse di sì, cosa che in verità mi stranizzò non poco conoscendo bene la sua intransigenza, esercitata innanzitutto con se stesso. 
Ma dovevo ricredermi presto. L’indomani mattina mi telefonò infatti per dirmi che ci aveva ripensato, che non poteva accettare un compromesso del genere, che non l’aveva mai fatto. Ribattei che tanto scrupolo era ingiustificato dal momento che il vituperatissimo Berlusconi era il suo irrinunciabile editore. Gli dissi anche che ero naturalmente pronto a pubblicare il suo articolo integralmente. Ma se ne ebbe e m’ingiunse di non farne alcun uso. Non litigammo, ma quasi. Mi dispiacqui molto e mi pentii di averlo accusato ricordandogli quella che per lui doveva essere una ferita aperta. Dovette dispiacere anche a lui, perché qualche giorno dopo mi chiamò volendosi accertare che l’articolo non sarebbe uscito. Glielo garantii, pur a malincuore, e notai che il suo risentimento si era stemperato. Mi parlò del suo nuovo itinerario, un tour che dalla Spagna del Sud lo avrebbe portato in Sicilia, sicché approfittai della sua buona disposizione per chiedergli se potevo pubblicare l’intero articolo ma mi oppose che l’aveva già dato ad altri. Non gli credetti. E del resto non l’ho mai visto da nessuna parte. Capii che era così spiccato il rigore morale che lo nutriva da non perdonarsi nemmeno il cedimento che aveva avuto dicendomi in un primo momento sì al taglio, per cui di quell’articolo non voleva più parlare con me e forse con nessun altro. 
Non l’ho più sentito Enzo, proprio per via di quell’attrito. Oggi me ne rallegro, perché il Consolo che mi ricordo per ultimo è un uomo dalla voce chiara e forte, una coscienza piena di vita e legata ai suoi principi così come tutti li abbiamo conosciuti. Mi è stata risparmiata la sua voce flebile e stanca degli ultimi mesi, come anche la fatica di vivere che quanti lo hanno visto gli hanno scorto nella sua casa milanese, il presagio di morte, le parole di circostanza da dire in questi casi. Me ne rallegro e mi consolo a ricordarlo in un giorno di luce intensissima sui Nebrodi, sorridente e pieno di vita, a indicare il suo mondo, felice come un bambino.