sabato 31 maggio 2014

Mani pulite? Pensiamo piuttosto a Piedi puliti



C'è stato un lungo periodo nel quale non si è avuto uomo politico italiano che non abbia pensato di poter disporre a piacimento dei finanziamenti pubblici ai partiti: come se Mani pulite, il tracollo di Craxi e la fine della prima repubblica non avessero insegnato niente.
Con tutto candore Umberto Bossi, nel pieno della seconda repubblica, poteva ancora chiedersi a chi mai avrebbe dovuto dare conto di fondi entrati nella disponibilità del partito da lui fondato, chiamato perciò a rispondere solo a lui. Questo pensiero forte è stato maggiormente radicato in tutti gli uomini politici siciliani che, trovandosi a dipendere da una Regione a statuto speciale, hanno esteso alla loro sfera le prerogative concesse ai partiti politici considerando il denaro pubblico come personale, ritenendolo utile ad ogni fine privato e vedendo nell'Assemblea regionale siciliana una fonte di erogazione non autorizzata a sindacare l'impiego dei soldi elargiti a ciascuno dei cosiddetti "deputati" purché rivestiti della carica di capigruppo. 
Mai che un governo o una presidenza dell'Ars abbia pensato di subordinare la concessione di un anticipo o di un rimborso a qualche criterio di merito o alla rispondenza di un requisito conforme ai fini istituzionali. Trattandosi di un fondo aperto a tutti, nessuno si è sentito di alzare un dito e dire "Un momento".
Poi, con il decreto Monti sul consolidamento e il controllo dei soldi pubblici anche nelle regioni a statuto speciale, la magistratura ordinaria ha avuto l'agio di mettere le mani nelle tasche degli "onorevoli" siculi e ha trovato di tutto. 
Leggendo l'edizione palermitana di oggi di Repubblica si trova che c'è chi, come Antonello Cracolici, il moralizzatore del Pd, si è fatto dare soldi dall'Ars per pagarsi il canone Rai, la Tarsu e le bollette dell'Enel, ma anche per iscrivere la figlia a scuola e pagarle la gita scolastica; chi, come Vladimiro Crisafulli, il reuccio ennese del Pd neppure capogruppo, ha chiesto soldi per pagare l'Ici e l'assicurazione per la macchina; chi, come Innocenzo Leontini, candidato alle Europee e plurisilurato, con i soldi dell'Ars si è comprato libri per 272 euro alla Feltrinelli di Palermo per impinguare la sua già fornita e ordinatissima libreria della segreteria di Ispica; e chi, come Franco Mineo, ha speso soldi pubblici per regalare cassate palermitane ai suoi elettori. Gente che guadagnava oltre 12 mila euro netti al mese non si è minimamente vergognata a chiedere il rimborso anche di quindici euro, quanto costava uno dei libri del già benestante Leontini.
In molti casi questi prestiti sono stati restituiti, ovviamente senza interessi, senonché l'inchiesta giudiziaria che riguarda quattordici ex capigruppo della scorsa legislatura rileva come quasi tutte le anticipazioni non rientrassero tra gli scopi dell'Ars e quindi erano indebite. Facile a questo punto chiedersi se la responsabilità dei richiedenti sia maggiore di quella dei datori e se le colpe di politici e funzionari si equivalgano. Chi ha concesso i prestiti riteneva evidentemente di trovarsi nel giusto quanto chi i prestiti li richiedeva. Ed è qui la questione vera, tutta siciliana. 
Al di là dell'intervento della Finanza che ha raccolto 1279 pagine di rapporto e degli stessi risvolti giudiziari, occorre chiedersi com'è possibile - rectius: accettabile e ammissibile - che un deputato non si chieda, al momento di accedere ai fondi pubblici, se il suo gesto sia etico e se spendere per ragioni personali soldi della cassa di tutti non configuri un torto nei confronti di quegli elettori cui egli stesso si rivolge professando e raccomandando trasparenza e senso della cosa pubblica. 
L'irredimibilità di una Sicilia che viene da decenni di sacchi ha mitridatizzato la classe politica al punto da farla sentire non solo impunibile ma anche legittimata a perpetuare un malcostume inveterato e insemprato, non limitato al solo campo dei prestiti a scrocco ma all'intera gestione dell'apparato regionale. Chi come Crocetta parla di rivoluzione e vede la mafia come il nemico da battere senza prima accorgersi del male che traligna attorno a lui è lo stesso che tiene in piedi i carrozzoni pubblici di cui aveva annunciato lo smantellamento e che, come Lombardo, tiene viva l'industria delle nomine e delle prebende. Chi tra i deputati predica la spending review è lo stesso che poi si schiera dalla parte dei superburocrati regionali per il mantenimento dei loro esorbitanti emolumenti. Chi, come i grillini, professa tagli alle loro indennità è poi quello che protesta per gli stessi tagli.
Prima che una questione di legalità lo scandalo all'Ars è una questione di moralità.  Un'inchiesta del tipo "Mani pulite" in Sicilia dovrebbe ribattezzarsi "Piedi puliti" perché prima che possano mettere le mani sul malloppo occorrerebbe impedire che mettano piede nel palazzo.