venerdì 30 maggio 2014

Tutti i figli della grande madre bianca




Gratta gratta l'americano viene fuori il pellerossa. In Italia si potrebbe dire invece che spunta sempre la Democrazia cristiana a grattare il connazionale. Se in democrazia i vuoti si colmano, nella vecchia Dc, che non è mai morta, si rigenerano.
Cambiano i partiti e le sigle, cambiano i leader e i risultati elettorali, ma la politica italiana rimane una variazione perpetua sul tema della Dc. Con l'aggiunta che se nella prima repubblica non c'erano comunisti e poi pidiessini che venissero da qualche corrente diccì, oggi persino il segretario nazionale dei dem è figlio della Dc, così come altri leader al tempo dell'Ulivo e dopo. Paradossalmente il solo che non venga dal ventre della balena bianca è Berlusconi per avere fatto tutti i suoi latinucci politici all'ombra del Psi, quando ovviamente il partito di Craxi era una cuspide del pentapartito oltre che parte dello storico Caf, erede legittima del quale è stata certamente Forza Italia. Dentro la quale rivive immarcescibile l'antico spirito originario. 
Ultimo a dimostrarlo è stato Raffaele Fitto, che avendo avuto 240 mila voti ha buttato sul tavolo la sua spada pretendendo il comando del partito anche contro il lider maximo: da perfetto democristiano deciso a far valere il suo peso secondo le inveterate logiche che rispondevano ai soli rapporti di forza. La frantumazione del Popolo della libertà inteso come coalizione omogenea di centrodestra si spiega alla luce dell'impulso correntizio che ha ispirato l'iniziativa del polo e che ha portato al distacco del Nuovo Centrodestra di Alfano, al dissolvimento di Alleanza nazionale e ora a una nuova tentazione scissionistica interpretata da Fitto. 
Si è rivelato del tutto impossibile ad Alfano, Fini e Fitto accettare che oggi un partito si identifica in un leader del quale ha assoluto bisogno ai fini del consenso elettorale. Tramontate del tutto le ideologie in un clima postmoderno che ha significato il ritorno traumatico alla più cruda realtà e a una modernità fatta di concretezze, dove perciò l'uomo politico conta più del partito politico, entità del tutto astratta, sono invalsi i personaggi carismatici e mediatici il cui principale tratto è di saper parlare e non di scrivere, oltre che di assumere la statura di leader. Stando così le cose, è possibile avere un leader senza partito che non un partito senza il suo leader. 
E' sotto gli occhi di tutti la dinamica per cui Berlusconi è Forza Italia come era il Popolo della libertà. Si vota Berlusconi come si vota Renzi e si vota Grillo. Sono capi di partiti autarchici che senza di loro sarebbero cosa diversa e certamente minore. Ma i dissidenti di Berlusconi come di Grillo rigettano questa equazione. Pavesando il più gagliardo spirito innovativo e gridando al cambiamento più profondo, ideale che Renzi ha chiamato "rottamazione", agiscono piuttosto come i più corrivi democristiani per i quali esistono solo due vie alternative: dentro un direttivo che sia cerchio magico o politburo oppure fuori a formare una corrente propria se non un altro partito.
I dissidenti di Cinque Stelle sono arrivati al punto da chiedere il disimpegno di Grillo muovendo l'attacco addirittura a chi è stato l'artefice unico del partito. Un caso delirante: da De Maio a Currò a De Francesco a Lombardi, non c'è nessuno, nemmeno Casaleggio, che non debba il suo stato a Grillo, senza il quale non ci sarebbe stato uno solo di loro. I veri innovatori, rispetto al pensiero dominante e ancora in circolo come un virus indebellabile, sono proprio i leader fondatori quali Berlusconi e Grillo cui viene piuttosto imputata la colpa di ogni insuccesso. Così è anche per Bossi, sia pure a un grado inferiore, perché la Lega nacque per iniziativa congiunta anche di altri artefici, ma così è certamente per il Pd che il successo elettorale alle Europee ha pacificato e improvvisamente unito quando fino a un giorno prima era stato un campo di battaglia tra fazioni più centrifughe e ribelli delle più indomite correnti democristiane.
Fa ridere pensare che ragazzotti e signorine fino a ieri del tutto anonime oggi dentro Cinque Stelle si siano dati i gradi e pretendano di rovesciare i re al potere. Come se, appena saputo di essere il popolo eletto, gli ebrei si fossero rivoltati contro Mosè. O, per capirci meglio, come se, messo a segno il colpo e spartito il bottino, i banditi si ammutinino e vogliano fare fuori il capo che li ha messi assieme, ha studiato il colpo e lo ha guidato.
E' quello che sta succedendo. Lo spirito bipolaristico al quale per anni Centrodestra e Centrosinistra hanno lavorato con convinzione creando le coalizioni contrapposte si sta andando sbriciolando nella formazione di nuovi cespugli e satelliti riproponendo le stesse condizioni di ingovernabilità che furono alla base dello sgretolamento della prima repubblica. Il successo elettorale di Renzi risponde proprio al bisogno popolare di evitare la ricaduta nel ginepraio diccì, ma chi è nato democristiano, si diceva una volta, non può che morire democristiano. Oggi la stessa verità vale per i renziani, i grillini, i leghisti, gli alfaniani, i berlusconiani e, per ultimi, i fittiani. Tutti figli, più o meno legittimi, di quella grande madre sempre incinta che è la sempiterna Democrazia cristiana. Avessimo a questo punto gli originali.