sabato 7 giugno 2014

Suor Cristina e quella preghiera blasfema


Con la vittoria più che scontata a The Voice, suor Cristina Scuccia rischia adesso la sindrome di Eschilo, che voleva essere ricordato come guerriero ed è passato ai posteri come aedo.
 Allo stesso modo l'orsolina ragusana è diventata famosa nel mondo come cantante mentre ha provato a imporsi come monaca. Voleva essere riconosciuta nelle vesti di una monaca cantante e sarà invece ricordata come una cantante che è monaca. 

Invero una qualità è sempre necessario che prevalga sull'altra trattandosi di manifestazioni d'essere, più che modi d'essere, inconciliabili: dove la scelta individuale sulla propria identità dipende - ed ecco Pirandello - da come gli altri ci vedono e non da come vorremmo che ci vedessero. Cosicché un prete che scriva poesie rimane un sacerdote fino a quando una sua silloge non entri in classifica o vinca un grande premio letterario. 

Allo stesso modo il famigerato boss Luciano Liggio sarebbe stato oggi famoso più come pittore che come mafioso se i suoi quadri avessero avuto più successo di quanto egli non ne abbia avuto nel malaffare. In sostanza la maschera che crediamo di indossare è quella che gli altri hanno deciso per noi. 
Questo può avvenire anche quando nulla facciamo per mettere gli altri di fronte a una scelta. E' il caso di uno scrittore come De Sade, che pensò di scrivere libri di forte impianto illuministico indicando nel libertinaggio un fondamento della ragione ed ha avuto attribuita l'etichetta di pornografo. 
Tra due condizioni primeggia quella che diviene più nota, per cui l'attività più vistosa di una persona integra la sua identità, a prescindere dalle circostanze che determinano la notorietà, che può anche essere dovuta ad uno scandalo oppure ad un atto riprovevole.
Molte volte però succede che chi è noto per una condizione si ritenga invece di un'altra natura: come un uomo che intimamente si senta donna. In questi casi nasce un dissidio tra come ci si crede di essere e come si constata di apparire. 
Una tale forma di dissidio è proprio quella che minaccia suor Cristina: la quale, da monaca, ha chiesto al pubblico di pregare con lei ad alta voce non ottenendo che pochissime partecipazioni e molto imbarazzo: questo perché si è rivolta a uno studio Tv e non a una navata ed ha preteso che quello si mutasse di colpo in questa. Il silenzio di gran parte della platea si spiega non certo alla luce di un'improvvisa presa collettiva di miscredenza quanto per la consapevolezza - di cui suor Cristina non si è resa conto - che in quel contesto, del tutto profano, pregare equivale a commettere un peccato mortale: quello di nominare il nome di Dio invano, sancito nel primo dei dieci comandamenti che letteralmente in latino significa "non chiamare Dio a testimoniare su cose vane e false".
Intonare prima una canzonetta e poi il "Pater noster" deve essere apparso al pubblico una distorsione dai toni blasfemi, sebbene sia del tutto ordinario cantare durante le liturgie. Ma una cosa è cantare in chiesa e un'altra pregare durante un festival in diretta televisiva: lì si riuniscono fedeli che si esprimono, tutti d'accordo, con ritornelli acconci, qui si ritrovano spettatori che, insieme con i telespettatori a casa, costituiscono un pubblico composto di persone con credi e opinioni anche opposti, riunite da un evento spettacolare e non per celebrare un rito devozionale.
Suor Cristina, tonaca da orsolina e scarpe nere da curato di campagna, ha conquistato il mondo occidentale di fede cattolica che in lei ha visto una pastora bergogliana, una evangelizzatrice nella società dello spettacolo, ma nel resto del mondo non cristiano è stata apprezzata unicamente per la sua voce e non certo per la sua veste.
Questo genere di contaminazioni tra sacro e profano conquista sempre più quanti non stanno né nell'una né nell'altra sfera, ma rischia di minare i simboli nella loro integrità. Accettare che una monaca che ha fatto o sta per fare voto di povertà e di castità frequenti, fino a dominarlo, il mondo leggero e tutto sommato demoniaco dello spettacolo, con le sue luci, le pailletes, i lustrini, le danze più o meno orgiastiche, le quinte ricolme di abiti succinti e assordanti di parolacce e licenziosità, di cene dopo show e di dopocene crapulone, perché questo è il demi-monde della televisione, giustifica l'ira di Cristo che caccia i mercanti dal tempio ed è una scelta che fa apparire quel mondo alla stregua di una Gomorra dove la concessione dello stesso Gesù di adorare Dio in letizia assume un significato oltremisura. Quando la letizia diventa in realtà troppa si viola sempre il divieto assoluto di non nominare mai e comunque il nome di Dio senza un reale fondamento di fede.