"Ceci n'est pas une pipe" avvertiva Magritte indicando una inequivocabile pipa da lui dipinta, volendo significare che era solo un'opera d'arte e non la realtà e raccomandando quindi di non fare confusione. Ora, di fronte alle statue di Montalbano, a Porto Empedocle e Punta Secca, verrebbe da dire che nessuna delle due raffigura il commissario di Camilleri. Non lo potrebbero in nessun caso. E la confusione è totale.
Quando si assiste alla trasposizione di un personaggio - quindi una figura inesistente - dalla letteratura al cinema o al teatro, passando da una finzione a un'altra, si tende sempre a identificarlo con l'interprete e fare di questi una ipostasi di quello. Più un attore recita bene nella "parte" del personaggio, e quanto più il suo film - anche grazie a lui - ha successo, tanto più l'interprete assume l'anagrafe dell'interpretato.
In uno spot pubblicitario di questi giorni vediamo comparire Kabir Bedi che viene chiamato non con il suo nome ma con quello di Sandokan, il personaggio di Salgari che egli interpretò con successo in televisione negli anni Settanta. Il rischio di un attore è sempre quello di finire nei panni del personaggio e di non uscirne più. Anche per scongiurare questo risultato i greci, inventori del teatro, facevano indossare maschere agli attori e lasciavano che nello stesso dramma interpretassero più personaggi, anche femminili. Ma poi anche in Grecia, con Euripide, l'attore divenne un divo nel quale il pubblico amava vedere il personaggio che meglio incarnava.
Cercando la propria consacrazione nel personaggio, l'attore ha allo stesso tempo provato sempre a non rimanerne fagocitato in un destino contrassegnato dalla ricerca del giusto limite. Non è un assillo che riguarda solo gli attori, soprattutto del cinema, per i quali un film è quello che un quadro è per ciascuno di noi: un modo per vincere il transeunte della vita, per rimanere in una forma che la vita, ripensiamo a Pirandello, non possa più mutare.
Il pittore francese Jacques-Luis David, autore di Consacrazione di Napoleone in ricordo della sua elezione a imperatore, dipinse la madre del conquistatore al suo fianco pur essendo lei stata assente alla cerimonia. Ricevette peraltro proteste da parte di altre personalità presenti perché pretendevano di avere nel quadro una posizione di maggior prestigio ancorché l'artista li avesse collocati esattamente nel posto dov'erano. "Non è un dipinto, ci si cammina dentro" commentò Napoleone a opera finita, così interpretando il sentimento generale per cui reale era il quadro a dispetto della realtà, perché sarebbe stato il quadro a consacrare la verità, ancorché non fosse quella storica.
Un altro caso di anamorfosi lo testimonia Alessandro Algardi quando riceve l'incarico di realizzare i ritratti degli antenati dei Frangipani: compito semplice per un ritrattista se ha davanti quantomeno i modelli. Ma nessuno aveva idea dell'aspetto degli avi sicché Algardi dipinse dei ritratti che furono ritenuti autentici e che divennero i veri documenti di riconoscimento dei Frangipani scomparsi.
Come Algardi, cioè nella licenza di ogni impostura, si sono condotti tutti i pittori e gli scultori che hanno dato un aspetto a figure che aspetto non potevano avere, a cominciare da Gesù Cristo, raffigurandoli come li immaginavano o come volevano che fossero. Allo stesso modo ci siamo sempre comportati noi lettori di romanzi che non solo sceneggiamo le vicende diventando coautori e riscrivendo a modo nostro il libro ma rappresentiamo i personaggi, diamo cioè loro un aspetto fisico in base alle descrizioni come elementi di partenza. E' quindi naturale che io do a Ulisse un aspetto che nessun altro potrà dare nello stesso identico modo. E questo potrò fare fino a quando un film o un quadro non mi mostrino un altro aspetto che, divenendo noto a tutti e prevalendo su ogni altro, scalza nella mia sfera il mio.
Ora, grazie alla serie televisiva, il commissario Montalbano è nel comune immaginario Luca Zingaretti, sebbene l'attore romano sia il più diverso e lontano dalla figura camilleriana che i romanzi ci suggeriscono. Il ciclo in Tv non ha falsato solo le sembianze dei personaggi letterari ma anche i luoghi, così Vigàta non è più una trasfigurazione di Porto Empedocle ma la riproduzione reale di Punta Secca e di altri luoghi del Ragusano dove la fiction è girata. Vedendo in televisione la casa sulla spiaggia che vedo realmente a Punta Secca mi faccio fotografare sulla terrazzina per poter dire o pensare di essere stato a casa del commissario.
Di qui la naturale e conseguenziale raffigurazione di Montalbano in una statua di acciaio piazzata a poche decine di metri dalla villetta a mare nella quale si riconosce - o si dovrebbe riconoscere - Luca Zingaretti e in esso Salvo Montalbano. Un commissario con un bicchiere in mano, costume e occhiali da mare, appena uscito dall'acqua e contento di starsene mezzo nudo in piazza: cosa che il "vero" Montalbano non farebbe mai, non avendo mai preso il bagno in presenza di altri e neppure di giorno. Ma queste oltranze riguardano l'estro dell'autore dell'opera e l'esito di quanti episodi ha letto del ciclo in rapporto a quanti ne ha visti. La differenza non è insignificante, perché il Montalbano televisivo non è per niente quello letterario.
Il quale non è neppure riconoscibile nella statua di bronzo che fu collocata cinque anni fa sul corso principale di Porto Empedocle, che pure, quanto al topos, richiama più Vigàta di quanto non possa Punta Secca: non tanto perché Montalbano non indugerebbe mai in piazza, per giunta appoggiato a un palo della luce con quell'aria da Pietro Germi o di Giuliano Gemma senza baffi, quanto perché l'immagine che Camilleri restituisce del suo commissario risponde ad un altro e ben diverso identikit: ha tutti i capelli, non è alto di statura e tende a mettere pancia, ha modi lenti, misurati e non elettrici come Zingaretti, e un atteggiamento pacioso che si è fatto con gli anni dolente e quasi mesto.
Sappiamo chi è realmente e ce lo ha detto lo stesso Camilleri. Il quale racconta che un giorno a un convegno conobbe un docente universitario sardo, Giuseppe Marci, e gli disse che il commissario era lui.
"Emma Bovary c'est moi" disse Flaubert, non a scanso di duplicazioni del suo personaggio ma per condividerne i tormenti interiori. Eppure anche Marci potrebbe dire "Montalbano c'est moi" e pretendere che chi voglia alzare una statua debba ricopiarlo. Ma a quel punto avremmo non più statue di personaggi inesistenti ma di persone esistenti. Conseguiremmo la verità ma avremmo un altro mondo.
In uno spot pubblicitario di questi giorni vediamo comparire Kabir Bedi che viene chiamato non con il suo nome ma con quello di Sandokan, il personaggio di Salgari che egli interpretò con successo in televisione negli anni Settanta. Il rischio di un attore è sempre quello di finire nei panni del personaggio e di non uscirne più. Anche per scongiurare questo risultato i greci, inventori del teatro, facevano indossare maschere agli attori e lasciavano che nello stesso dramma interpretassero più personaggi, anche femminili. Ma poi anche in Grecia, con Euripide, l'attore divenne un divo nel quale il pubblico amava vedere il personaggio che meglio incarnava.
Cercando la propria consacrazione nel personaggio, l'attore ha allo stesso tempo provato sempre a non rimanerne fagocitato in un destino contrassegnato dalla ricerca del giusto limite. Non è un assillo che riguarda solo gli attori, soprattutto del cinema, per i quali un film è quello che un quadro è per ciascuno di noi: un modo per vincere il transeunte della vita, per rimanere in una forma che la vita, ripensiamo a Pirandello, non possa più mutare.
Il pittore francese Jacques-Luis David, autore di Consacrazione di Napoleone in ricordo della sua elezione a imperatore, dipinse la madre del conquistatore al suo fianco pur essendo lei stata assente alla cerimonia. Ricevette peraltro proteste da parte di altre personalità presenti perché pretendevano di avere nel quadro una posizione di maggior prestigio ancorché l'artista li avesse collocati esattamente nel posto dov'erano. "Non è un dipinto, ci si cammina dentro" commentò Napoleone a opera finita, così interpretando il sentimento generale per cui reale era il quadro a dispetto della realtà, perché sarebbe stato il quadro a consacrare la verità, ancorché non fosse quella storica.
Un altro caso di anamorfosi lo testimonia Alessandro Algardi quando riceve l'incarico di realizzare i ritratti degli antenati dei Frangipani: compito semplice per un ritrattista se ha davanti quantomeno i modelli. Ma nessuno aveva idea dell'aspetto degli avi sicché Algardi dipinse dei ritratti che furono ritenuti autentici e che divennero i veri documenti di riconoscimento dei Frangipani scomparsi.
Come Algardi, cioè nella licenza di ogni impostura, si sono condotti tutti i pittori e gli scultori che hanno dato un aspetto a figure che aspetto non potevano avere, a cominciare da Gesù Cristo, raffigurandoli come li immaginavano o come volevano che fossero. Allo stesso modo ci siamo sempre comportati noi lettori di romanzi che non solo sceneggiamo le vicende diventando coautori e riscrivendo a modo nostro il libro ma rappresentiamo i personaggi, diamo cioè loro un aspetto fisico in base alle descrizioni come elementi di partenza. E' quindi naturale che io do a Ulisse un aspetto che nessun altro potrà dare nello stesso identico modo. E questo potrò fare fino a quando un film o un quadro non mi mostrino un altro aspetto che, divenendo noto a tutti e prevalendo su ogni altro, scalza nella mia sfera il mio.
Ora, grazie alla serie televisiva, il commissario Montalbano è nel comune immaginario Luca Zingaretti, sebbene l'attore romano sia il più diverso e lontano dalla figura camilleriana che i romanzi ci suggeriscono. Il ciclo in Tv non ha falsato solo le sembianze dei personaggi letterari ma anche i luoghi, così Vigàta non è più una trasfigurazione di Porto Empedocle ma la riproduzione reale di Punta Secca e di altri luoghi del Ragusano dove la fiction è girata. Vedendo in televisione la casa sulla spiaggia che vedo realmente a Punta Secca mi faccio fotografare sulla terrazzina per poter dire o pensare di essere stato a casa del commissario.
Di qui la naturale e conseguenziale raffigurazione di Montalbano in una statua di acciaio piazzata a poche decine di metri dalla villetta a mare nella quale si riconosce - o si dovrebbe riconoscere - Luca Zingaretti e in esso Salvo Montalbano. Un commissario con un bicchiere in mano, costume e occhiali da mare, appena uscito dall'acqua e contento di starsene mezzo nudo in piazza: cosa che il "vero" Montalbano non farebbe mai, non avendo mai preso il bagno in presenza di altri e neppure di giorno. Ma queste oltranze riguardano l'estro dell'autore dell'opera e l'esito di quanti episodi ha letto del ciclo in rapporto a quanti ne ha visti. La differenza non è insignificante, perché il Montalbano televisivo non è per niente quello letterario.
Il quale non è neppure riconoscibile nella statua di bronzo che fu collocata cinque anni fa sul corso principale di Porto Empedocle, che pure, quanto al topos, richiama più Vigàta di quanto non possa Punta Secca: non tanto perché Montalbano non indugerebbe mai in piazza, per giunta appoggiato a un palo della luce con quell'aria da Pietro Germi o di Giuliano Gemma senza baffi, quanto perché l'immagine che Camilleri restituisce del suo commissario risponde ad un altro e ben diverso identikit: ha tutti i capelli, non è alto di statura e tende a mettere pancia, ha modi lenti, misurati e non elettrici come Zingaretti, e un atteggiamento pacioso che si è fatto con gli anni dolente e quasi mesto.
Sappiamo chi è realmente e ce lo ha detto lo stesso Camilleri. Il quale racconta che un giorno a un convegno conobbe un docente universitario sardo, Giuseppe Marci, e gli disse che il commissario era lui.
"Emma Bovary c'est moi" disse Flaubert, non a scanso di duplicazioni del suo personaggio ma per condividerne i tormenti interiori. Eppure anche Marci potrebbe dire "Montalbano c'est moi" e pretendere che chi voglia alzare una statua debba ricopiarlo. Ma a quel punto avremmo non più statue di personaggi inesistenti ma di persone esistenti. Conseguiremmo la verità ma avremmo un altro mondo.