lunedì 14 luglio 2014

Per favore, non facciamo teatro


In tempi di doppia realtà, dove quella mimetica contende il campo all'analogica e ci riconosciamo più nel nostro avatar che nella nostra anagrafe, definire i campi di virtuale e reale può essere un esercizio inutile ma si rischia, lasciando che le cose trovino da sole il loro corso, di dare ragione a Borges secondo il quale il più grande labirinto è il deserto. 
Non è un problema che nasce con i giochi di ruolo, le chat e internet. L'astrazione dell'identità, nella quale chi osserva si crede diverso in funzione di quanto osserva, è fenomeno noto sin dai greci quando andavano a teatro. Il tiranno di Fere, Alessandro, un giorno lasciò sconvolto il teatro vedendo recitare un attore nei panni di un personaggio femminile: non perché un uomo interpretasse una donna, cosa comune nel teatro classico, ma perché non poté accettare, sentendosi appunto diverso e vergognandosi fino a piangere, di commuoversi delle false disgrazie di un attore mentre restava impassibile di fronte a quelle vere dei feresi. 
Succedeva nel quarto secolo e Alessandro non ricordava più Solone, il legislatore, che un secolo prima aveva saputo come rispondere a Tespi il quale, alle sue accuse di dire tante menzogne, si era giustificato dicendo che il teatro era uno scherzo: "Se elogiamo in questo modo lo scherzo" gli disse Solone "presto lo ritroveremo nei contratti". A significare quanto Freud avrebbe detto molto tempo dopo e cioè che il contrario dello scherzo non è il serio ma la realtà.
Quanto però al teatro, abbiamo il rovescio: perché se Teodoro non avesse recitato così bene da fare immedesimare il tiranno nel personaggio non sarebbe stato un buon attore. Così in Tom Jones Henry Fielding si fa beffe di un attore che recitando con molta affettazione e studio tradisce di essere tale e si attira i fischi del pubblico. Gorgia diceva, in un impeto prometeico, che è più saggio chi si fa ingannare dal soprannaturale in teatro di chi invece ci creda nella realtà. "Tutte le storie che non contengono menzogne sono mortalmente noiose" diceva Anatole France, sicché il teatro è costretto a ingannare. E con il teatro l'arte intera.
Ferdinando Scianna, un fotografo realista scoperto da Sciascia appunto perché tale, racconta di una signora che a una sua mostra a Siviglia gli dice di essere rimasta molto commossa alla vista dei suoi poveri, assumendo in fondo lo stesso atteggiamento del tiranno di Fere: sicché Scianna le risponde: "I poveri non sono in questa sala, signora, ma fuori". Marshall McLuhan riferisce dal canto suo di un signore che dice a una signora: "Che bel bambino che ha", al che lei ribatte: "Dovrebbe vederlo in fotografia quant'è bello". Succede quindi, come a Dorian Gray di Wilde, di scegliere una realtà che non c'è e farne verità a un'attestazione del vero. Plotino nelle Enneadi richiama due casi che definiscono gli opposti aspetti: Narciso vede un riflesso e lo scambia per vero mentre Ulisse non si lascia ingannare da ciò che gli appare. Però, aggiungiamo noi, alla vista delle sirene preferisce farsi legare proprio per non restare vittima di un inganno.
Ma è un inganno la realtà o il suo specchio? In verità nessun uomo ha mai potuto vedersi direttamente in faccia ma ha dovuto ricorrere a un mezzo per conoscersi. Se tutto ciò divenisse impossibile non ci sarebbe più nessuno che possa sindacare l'opinione altrui circa l'aspetto del proprio volto e soprattutto la possibilità di essere riconosciuto e perciò identificato. 
Anna Arendt, riprendendo Pirandello, ritiene che "nel mondo nulla è se non nella forma di un oggetto che appare ad altri e che proprio, solo in questo apparire, trova la garanzia della propria realtà". Se dunque Pirandello ci dice che siamo ciò che sembriamo, la Arendt precisa che l'apparenza diventa definitiva realtà quando diventa condivisa e quindi maggioritaria. Ma questo avviene solo nell'ambito delle scienze sociali, avverte Howard Gardner, perché nelle scienze fisiche e biologiche le leggi della natura non sono soggette a mutamenti. Invece, ci dice, "le opinioni che abbiamo di determinati fenomeni modificano i fenomeni stessi, come risulta in ambito economico". In economia e nelle scienze sociali dunque l'opinione influenza la verità. 
Ragionando allo stesso modo Socrate giunse a formulare la categoria della "opinione corretta" per spiegare addirittura le dinamiche politiche. Si tratta di un tipo di sapere casuale in forza del quale i politici ottengono risultati positivi senza sapere come, ma avendo ragione perché, basandosi sul consenso della maggioranza, interpretano un'opinione comune che perciò diventa anche corretta. Il consenso della maggioranza è lo stesso che induce Epicuro a pensare che gli dèi esistono sulla base della fede dell'universale consenso dell'umanità.
Ma dove c'è un'opinione non c'è mai la verità ma una presunzione. E quindi un inganno. Schopenhauer può dunque concludere che è la vita stessa ad essere un inganno continuo fatto a noi stessi e di cui non ci rendiamo conto. Si tratta adesso di stabilire se l'autoinganno riguarda oltre alle percezioni anche la conoscenza, il reale oltre il virtuale. E se non sia autoingannandoci che viviamo la realtà. Di tradimento in tradimento e quindi da un teatro all'altro, da una maschera all'altra.