martedì 8 luglio 2014

Quella processione che viene da molto lontano


Gli abitanti di Oppido Mamertina e i suoi parroci non capiranno mai perché la Procura della repubblica ha aperto un'inchiesta per associazione mafiosa e semmai penseranno che associarsi per partecipare a una processione costituisca reato. Né capiranno le parole dell'Osservatore romano che parla di pervertimento del sentimento religioso per avere portato il fercolo della Madonna sotto la casa del capomafia, infermo e soprattutto gran peccatore: non certamente per farla inchinare in atto di sottomissione ma per farle rivolgere un saluto. Atto che senz'altro la stessa Madonna adempierebbe di fronte a qualsiasi figliol prodigo, che più del giusto o del santo ha bisogno di soccorso celeste. Ancor più perché malvagio, pluriomicida e recidivo, il boss di Oppido merita l'indulgenza divina, cosa che i fedeli hanno inteso mutuare: naturalmente i fedeli che portatori del fercolo si sono sentiti della stessa pasta.
Non è una novità, come scrive lo stesso foglio del Vaticano: nel Mezzogiorno le processioni soprattutto patronali sono appannaggio della malavita e in molte occasioni si traducono in manifestazioni di venerazione e rispetto che intendono fondere cielo e terra in un unico rituale sacro e profano. 
La storia, sin dall'antichità classica, insegna che re e imperatori hanno preteso, al di là dei loro meriti per guadagnare il Paradiso, di essere visti come uomini divinizzati se non come dèi antropomorfi. Né centinaia di pontefici si sono limitati, dal canto loro, a curare le sole anime senza sentirsi nel loro secolo investiti di poteri terreni e mondani. Da queste tradizioni nasce la trasposizione del boss al re, rimanendo il popolo ugualmente devoto, se non di più.
Se il mondo non avesse insegnato a identificare re e divinità, ad Oppido non sarebbe stato possibile che fedeli quantunque di estrazione 'ndranghetista potessero pensare alla Madonna in riferimento al capomafia locale, più o meno religioso e credente che fosse: non avrebbero infatti trovato alcun collegamento spiegabile alla luce della loro filosofia. 
Se si pensa di scongiurare scene simili, viste non come blasfeme ma come apologetiche, di una venerazione portata indebitamente all'uomo notabile elevato a un grado pari se non superiore alle sfere divine, basterà che le processioni non siano date in gestione, quanto per esempio alla raccolta dei fondi per l'allestimento delle feste, alle organizzazioni malavitose perlopiù mafiose: e questo avrebbe dovuto fare il maresciallo di Oppido, che invece ha pensato di imporre il veto alla sosta della vara sotto casa del patriarca e al prevedibile inchino, come se fosse stato possibile ai fedeli 'ndranghetisti obbedire allo Stato e venire meno a un atto di rispetto dovuto e sentito. 
Anziché abbandonare la processione, lasciando l'ordine pubblico intutelato, il maresciallo avrebbe dovuto richiedere ai superiori o al parroco la sospensione del rito, come è avvenuto altre volte in Sicilia a iniziativa di vescovi e parroci proprio per impedire commistioni tra fede e criminalità. Ma il parroco, e per lui il vescovo, avrebbe accolto una tale richiesta? Come avrebbe giustificato l'interruzione di una tradizione consolidata? Più che sospendere la processione, l'unico atto possibile al parroco sarebbe stato l'esonero dei portatori, tutti appartenenti ai clan, con il rischio però di esporsi in prima persona e di scatenare rappresaglie incontrollate.
Tutte queste dinamiche, davvero ingestibili al punto in cui sono giunte, sono state bene spiegate da Sciascia quando scrisse circa il rovesciamento della morale cristiana per cui è possibile assistere a portatori della Madonna che la bestemmiano proprio durante la processione: rovesciamento che va interpretato nella chiave di una fidelizzazione al soprannaturale che viene reso terreno e familiare. Di qui il saluto della Madonna al boss: atto che ha indotto il maresciallo a prenderne le distanze in nome dello Stato laico e il parroco a giustificarne lo spirito in nome di un credo che sarà sciascianamente credenza ma che, come la mafia, non può essere estirpato facendo parte della natura stessa delle genti meridionali. Di più, a paradosso e colmo: è proprio questo tipo di credo che spinge le mafie (chi vuole legga solo, a maggior profitto, Le sagrestie di Cosa nostra di Vincenzo Ceruso e La mafia devota di Alessandra Dino) di Sicilia, Calabria, Campania e Puglia a trovare elementi di condivisione e riconoscimento. 
Ma dopotutto anche don Abbondio, nella lontana Lombardia, aveva a che fare con i bravi, temendoli ma negoziando: a dimostrazione che quando Gesù dice di dare a Cesare e a Dio secondo le loro attribuzioni intendeva separare la materia dallo spirito, la terra dal cielo, il corpo dall'anima. Come ogni mortale, dunque, il capomafia morente di Oppido, a prescindere da quanto abbia dato o debba dare a Cesare, ha il diritto di conferire con e a Dio, anche per il tramite di una processione e l'aiuto dei sui fedeli. Dopotutto il passo del Vangelo di Marco sui pubblicani e i peccatori seduti a tavola con Gesù e motivo di disapprovazione dei farisei sconfessa L'Osservatore romano quando Gesù dice loro di non essere venuto per i giusti ma per i peccatori e che non è il sano che ha bisogno del medico ma il malato.