giovedì 18 dicembre 2014

Comincia l'era del presente senza storia


Nel suo discorso sulla ripresa del dialogo con Cuba, Barack Obama ha detto che occorre mettere fine alle conseguenze di "eventi accaduti prima che la maggior parte di noi fosse nata". Viene così sancita la priorità del presente e con essa la sacralità dei presenti.
Non conta più la storia né valgono quanti sono venuti prima. I quali probabilmente hanno sbagliato. Il presidente degli Stati Uniti si rivolge ai suoi contemporanei o meglio ai suoi coetanei e alla generazione nata dopo il 1960, durante la Guerra fredda, un evento da condannare e dal quale prendere le distanze così come dai suoi responsabili. Mai prima d'ora abbiamo avuto una presa di posizione così netta di un capo di stato rispetto ai suoi predecessori né tantomeno abbiamo mai sentito parole così sprezzanti nei confronti di quanti quegli avvenimenti li hanno vissuti ma sono oggi più che vivi: come da ripudiare e isolare. Obama chiama attorno a sé, invitandoli a salire sul carro del pacificatore, solo gli americani e i cubani, come anche tutti gli esseri dell'Occidente che non abbiano sessant'anni e che con il passato e i suoi guasti, la Guerra fredda innanzitutto, non abbiano nulla a che vedere, così da indicarli a riparatori e rottamatori, una tendenza questa che sta sempre più invalendo nelle classi politiche al potere appartenenti a un'anagrafe cosiddetta giovane. Da Obama a Renzi, sta correndo per l'Occidente una indomita voglia di svecchiamento che sembra nata dal sacro proposito di creare differenze non più tra classi e categorie ma tra età ed epoche. E' un fatto nuovo che ha una forte implicazione culturale.
Se infatti la regola di Obama dispone che la generazione oggi più attiva non possa che essere responsabile dei soli atti ad essa riconducibili, così come il verbo di Renzi professa in Italia il più fiero distacco dalle esperienze del passato, quale che sia stato il governo, si ha la sconfessione di tutta la storia nei modi in cui la conosciamo. Non solo: si ha anche l'invalidazione della storia come maestra di vita e fonte delle magnifiche sorti progressive dell'uomo.
La grande differenza tra le due generazioni che sommicapi possono essere distinte dallo spartiacque della Guerra fredda sta in ciò, che chi l'ha testimoniata, temendo ogni giorno lo scoppio della Terza guerra mondiale e vivendo gli anni del riarmo atomico e dei Blocchi contrapposti ha rivolto alla storia la sua speranza di salvezza mentre quella nata con il disarmo nucleare e il disgelo ha visto nella storia un cattivo esempio di condotta intercontinentale regolando con essa i conti nel senso di deciderne la messa in liquidazione. 
Il pragmatismo oggi imperante è figlio di questo ripudio della storia che si regge soprattutto sul fondamento dell'ideologia. Laddove non c'è più il pensiero e quindi anche la memoria, appunto storia, non resta che l'azione, la quale non può che essere sempre legata alla sua contingenza, devota soltanto al dio del presente e votata morbosamente all'idolo del futuro.
Senza che nessun osservatore se ne sia accorto, benché Obama abbia parlato a voce alta al mondo intero, il "giovane" presidente degli Usa non ha soltanto gettato unn ponte su Cuba ma ha anche, nello stesso tempo, gettato il seme perché fiorisca un frutto nuovo, sconosciuto, forse velenosissimo: il frutto del dopo-storia innestato nel fiore già gemmato del presente come unico vangelo accettato. 
Ma non tutti i contemporanei facciamo parte del grande progetto. Nell'arca di salvezza sono ammessi solo quelli che non c'erano quando gli eventi degli ultimi sessant'anni si sono verificati. Chi vuole questa politica - che è il contrario di quella che Obama, quanto alla contrapposizione con Cuba, chiama "irremovibile" - deve però fare anch'essa i conti con il presente, il dieu fétiche. Il presente è fatto per diventare futuro se addirittura non può essere considerato inesistente perché diventa passato nel momento stesso in cui è vissuto. Alla fine i rottamatori rischiano di rottamarsi prima di quanto essi riescano a fare con i rottamati.