Si rende un ottimo servizio alla mafia se lo scandalo di Roma viene configurato dagli stessi inquirenti di tipo mafioso. La mafia ringrazia perché più si estende il 416 bis e più essa si liofilizza e confonde: com'è nella sua più connaturata vocazione.
Se tutto è mafia, alla fine niente è mafia. A Roma si assiste al riproporsi di un fenomeno che ha stretti legami con l'esperienza criminale già fatta della banda della Magliana. Con un arricchimento in parte nuovo: l'implicazione della matrice politico-terroristica, elemento del tutto assente in una organizzazione mafiosa, che riannoda in un unico intento gli estremismi eversivi e sovversivi. I due principali protagonisti sono Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, il primo proveniente dall'estrema destra fascista, il secondo dall'estrema sinistra rivoluzionaria. Si sono incontrati e incrociati sul terreno dell'iniziativa delinquenziale intesa al procacciamento di appalti e servizi pubblici in cambio di percentuali e rendite sui ricavi. Non c'è niente di mafioso in questo sistema dal momento che la mafia non riconosce tangenti bensì voti alle elezioni, protezioni e mediazioni: e anche quando dispensa denaro provento degli affari non sono commisurati al volume dell'introito ma alla statura e alla considerazione del concusso.
Per potersi parlare di mafia, nel senso mutuato dalla novata normativa penale, è necessario entrare a fare parte di una organizzazione segreta territoriale con un preciso ruolo, una precisa posizione nell'ambito di una cosca e dopo un rito di affiliazione. Nella sedicente "Mafia capitale" mancano tutti questi elementi che invece si ritrovano in Cosa nostra, Camorra, 'Ndrangheta e Sacra corona unita, organizzazioni che sono mafiose perché hanno un'identità esclusiva data da un codice interno, una tradizione e una storia. Le mafie non nascono dall'oggi al domani né per volontà di un singolo artefice.
A Roma si ha invece il classico esempio di associazione a delinquere finalizzata al procacciamento di affari dove non occorre alcuna affiliazione e dove l'impiego lecito degli illeciti introiti di derivazione politica è da un lato assimilabile al modus operandi della mafia ma da un altro è ancora di più riconducibile alla logica che fu propria di Mani pulite, che sembra qui riaversi in scala solo capitolina, e a quella a più ampio raggio propria di Expo 2015. In più l'intimidazione è esercitata in essa con un metodo prioritario sconosciuto alla mafia che tende a servirsi piuttosto della persuasione e ricorre all'intimidazione e alla punizione solo successivamente e solo eventualmente.
Etichettare come mafiosa l'organizzazione criminale romana non pone solo la questione di rideterminare a questo punto la definizione di associazione a delinquere di tipo semplice ma minaccia anche di dare probanti argomenti alla difesa degli imputati di giocare facile in aula. Soprattutto significa contaminare la sostanza dell'articolo 416 bis di elementi capaci di snaturarlo: perché non è mafia quella associazione partecipata da ex terroristi votati a farsi banditi, da estorsori comuni, da lobbisti di quartiere e da quadri politici di secondo e terzo ordine. E' piuttosto criminalità più o meno organizzata nelle forme che proprio a Roma si sono viste in occasione della Magliana. Che fu chiamata correttamente "banda".
Passare ora dalla banda alla cosca in presenza di un caso che è la replica del primo, spinge a chiedersi se davvero - nonostante il 416 bis - conosciamo cos'è la mafia e se vederla dappertutto non significhi tornare a nasconderla e infine proteggerla.