Stabilire una tendenza è la nuova voga della stampa nazionale italiana, non contenta più di osservarla e descriverla. Così anziché riferire notizie fa notizia. In altre parole invece di rendere noto quanto è successo, prova a realizzare quanto vorrebbe che succedesse o meno.
In questo modo l'opinione prevale sui fatti e quel che i giornali ci offrono sono proiezioni personali, pareri e posizioni perlopiù arbitrarie. Influenzare il pubblico invece di informarlo sembra dunque essere diventato negli ultimi anni il lavoro principale della stampa nazionale. Quella regionale o provinciale non si muove in un'ottica diversa, semmai più immediata e aziendalistica, l'influenza del pubblico promanando non più da singoli opinion maker locali ma dallo stesso editore che per mezzo del giornale persegue interessi propri diversi da quelli editoriali.
Stabilire una tendenza è per esempio affermare che più gente vede non la televisione ma il web senza che questo dato sia documentato statisticamente, cosa impossibile perché si può accertare il calo di audience ma non la crescita di visitatori nella rete. Generalmente i giornali che si occupano di questa specie di trend, anziché fornire numeri, curve e soprattutto dati storici, affidano la propria tesi alla dimostrazione di esperti, i quali si rifanno ad altri esperti oppure a studi, libri, convegni che magari hanno solo sfiorato o enunciato il fenomeno.
Si parte da un assunto, che il più delle volte è un'aporia, e con questo assunto si tenta di trovare non le prove ma le testimonianze, cosicché non si cerca, deduttivamente, di sperimentare un'osservazione empirica molto limitata, ma appunto, induttivamente, di dimostrare una tesi già preparata che richiede solo di essere non verificata ma sostenuta. Questo esercizio punta a influenzare il mercato e maschera un intento subliminale di tipo pubblicitario. Fare passare "la notizia" della scoperta del danno fisico provocato dagli smartphone rispetto ai tablet significa dirigere la scelta dei consumatori su questi quando soprattutto siano un paio di esperti di fama mondiale a dichiararlo. Non diversamente avviene nel campo della promozione. Se nella pubblicità dei prodotti sanitari - cosmetici, dentifrici, shampoo - appare in Tv un medico in camice bianco a lodarne i pregi, non è certo l'Oms a imporlo, ma sono i produttori a valersene come garanti. Allo stesso modo stabilire che il tatuaggio non è più di moda o che per il cenone di San Silvestro il rosso a tavola è kitsch significa determinare un nuovo gusto o abolirne uno tradizionale.
Questa condotta induce i giornali ad essere non lo specchio della realtà ma la fonte di luce di essa, sicché è la realtà a riflettere la sua stessa luce. Che però non conosce la propria potenza nel momento in cui illumina l'obiettivo, perché è inizialmente solo potenziale. I giornali perciò danno notizie che non costituiscono fatti e che più esattamente sono previsioni o prefigurazioni.
Tale modello è diventato dominante anche circa i veri e propri fatti, cioè gli eventi realmente accaduti. Sempre più spesso infatti i giornali non riportano quanto è stato fatto ma quanto verrà fatto. In politica la dichiarazione di un ministro o di un sindaco diventa così un fatto avvenuto e se ne dà notizia nel presupposto che quella dichiarazione costituisca un evento. In effetti è così: la dichiarazione di Renzi (espertissimo in questa pratica di nuovo conio) che il governo ridurrà le tasse si configura come un fatto, avvenuto in un determinato luogo e in una determinata ora. Ma non è un fatto. E' una intenzione, cioè un progetto. Che può essere anch'esso reale. La Costituzione per esempio chiama "disegno di legge" quel testo che rispetto alla legge è uguale all'embrione rispetto al bambino o al bozzolo rispetto alla farfalla. E', aristotelicamente, un atto in potenza titolare di tutela e realmente consistente, ma nell'ambito e con le riserve di ciò che è in fieri, work in progress, non completo o non completamente realizzato.
Cosa diversa è il progetto che è una mera intenzione di cui non ci sia riscontro alcuno nella realtà. Decidere a cena di comprare casa non significa avere la casa e abitarla, così come decidere di partire e comprare il biglietto non equivale a essere a destinazione. Tra il dire e il fare c'è in mezzo un mare attraversando il quale i progetti possono cambiare fino ad esitare risultati completamente diversi. Così, facendo notizia delle intenzioni, i giornali puntano a solcare proprio quel mare condizionando chi quelle intenzioni le annuncia per diverse ragioni: lanciare un ballon d'essai, lucrare il consenso politico indipendentemente dal risultato politico, avviare negoziati a distanza con le altre parti, vestire i panni del promotore lasciando agli altri il ruolo dell'oppositore e del detrattore, come Renzi fa con la Camusso. Un sindaco a corto di consensi che annunci la costruzione di una strada ottiene un risultato immediato in termini di approvazione popolare, al di là del fatto che poi la strada nascerà davvero. Ma non avrebbe nemmeno una pacca sulla spalla se nessuno venisse informato della sua intenzione più o meno sincera e fattibile.
Se perciò i giornali tacessero le intenzioni e ignorassero i progetti (o comunque ne dessero notizia tra le brevi in apposite rubriche intitolate "Hanno detto" o "Bacheca") dando spazio soltanto ai fatti reali, alle cose fatte, si avrebbe quantomeno una credibilità maggiore sia in capo ai giornali che a quanti essi fanno da megafono. Credibilità che sarebbe sinonimo di credito, il quale non è un bene meno pregiato del consenso, sebbene oggi valga più questo che quello. Per i giornali il consenso si traduce in vendite, per i politici in voti. Ma ricercare il consenso a danno del credito integra un deterioramento dei rapporti di relazione che intaccano pesantemente la qualità generale della vita e il bene comune.
Se la politica e la stampa perdono progressivamente credito (a vantaggio di momentanei ed effimeri stadi di consenso) è colpa anche di un modello di giornalismo che incoraggia la politica ad affidare all'annuncite la sua iniziativa. Staccare la spina a questo genere di politica significa salvare anche il giornalismo prima che nella cosiddetta opinione pubblica si consolidi il retaggio per cui essa è tale non perché si forma da sola ma perché è già formata come Minerva, artefice quella che oggi è considerata la vera opinione pubblica, cioè la stampa.