Gli americani sono bravissimi a realizzare serie Tv perché (non conoscendo il plausibile e quindi non sapendo distinguere tra ciò che è possibile, ciò che è probabile, ciò che è inverosimile e infine impossibile) tentano le vie più impensabili. Mancando il plausibile tutto diventa infatti possibile. Basta sospendere l'incredulità. E allora la pluripremiata serie Breaking bad merita la palma d'oro in fatto di implausibilità.
I suoi autori non hanno rossore alcuno a presumere di far credere che dieci persone in dieci penitenziari diversi vengano uccise nel giro di due minuti. Né fanno un piega se per cinque stagioni, equivalenti a 55 ore per 62 puntate, un ultracinquantenne malato di cancro ai polmoni (il più micidiale e sbrigativo dei tumori), pure operato, sia più vispo di un ragazzo e faccia a pugni, affronti la canicola del deserto, si sottoponga a lavori manuali che sfiancherebbero uno scaricatore, mangi in maniera disordinata, salti, lavori e corra rischi di ogni genere: per oltre un anno! Né tantomeno si preoccupano delle più elementari regole di ogni indagine di polizia: mettere sotto controllo qualche telefono. Sarebbe bastato infatti che uno solo dei protagonisti della serie (tranquillamente disponibili a scambiarsi ogni segreto al telefono) fosse intercettato perché si arrivasse alla verità senza dovere aspettare cinque anni, dal 2008 al 2013. In Breaking bad tutto è eccessivo, improbabile, persino l'età degli attori. Bryan Cranston che interpreta Walter White (uno che ama soprattutto stare in mutande) nella fiction ha 51 anni ma in realtà ne dimostra almeno dieci-quindici in più. Tuttavia ha una moglie che aspetta un bambino e un figlio di quindici anni. Un'altra incongruenza per tutte: nel primo episodio, andato in scena nel 2008, Walter rende una confessione, come se fosse all'ultima puntata, ma nel 2013, quando in realtà la serie si chiude per ovvie ragioni (perché finalmente il malato terminale di cancro deve pur morire se non si vuole ricorrere a un miracolo divino), l'attore dimostra con tutta evidenza che sono passati cinque anni: segno che la serie non doveva durare tanto, effetto di un successo nemmeno preventivato. Un successo che deve fare riflettere e che è tanto più dirompente perché è già pronta la prima stagione di uno spin off nel quale protagonista è forse il più riuscito e simpatico dei personaggi: l'avvocataccio Saul Goodman.
Io non mi sono mai iscritto nell'elenco di quanti ritengano che un libro o un film debba essere letto o visto fino alla fine, appartenendo alla categoria che nello zapping vede il diritto, non solo da esercitare davanti a un televisore, di scegliere e cambiare scelta senza limitazioni. Ma Breaking bad l'ho vista interamente. E con molto interesse.
Costruita praticamente di stagione in stagione se non di puntata in puntata, la serie cattura grazie a un principio elementare di immedesimazione: chiunque si riconosce nei panni di Walt White e nelle ragioni che lo hanno spinto a trasformarsi in un criminale ricercato in tutti gli States. Chiunque come lui, nutrito da un sentimento della famiglia dai tratti quasi morbosi e patologici, compirebbe qualsiasi azione se, in procinto di morire, teme per l'avvenire dei suoi figli e della moglie, intendendo assicurare loro un benessere libero dal bisogno. La cronaca anche italiana ha restituito non pochi antecedenti di Walt White che, malati terminali, hanno compiuto rapine e atti delinquenziali intesi a favore delle loro famiglie, lasciando alla fine un interrogativo: è giustificabile se non giusto che si compia il male a fin di bene? Walt White muore dopo aver coronato l'intero suo progetto, ma i soldi, tanti soldi, che lascia alla famiglia, non valgono a restituirgli né l'affetto del figlio e della moglie né a garantirgli la memoria nei loro cuori. Per tutti è un mostro e come tale la sua morte per cancro non può impietosire nessuno. Infatti non c'è nessuno che sia mosso a compassione nei suoi confronti. Salvo lo spettatore.
Lo spettatore - che conosce la verità sulla morte del cognato poliziotto, del cui delitto White viene creduto responsabile - parteggia per lui: nonostante gli omicidi commessi, l'orrida fabbrica di morte che è diventato, il denaro insanguinato, la cinica determinazione a raggiungere il suo scopo nella gara ingaggiata contro la morte. Walter White dimostra che il legame di sangue consacrato nel matrimonio vale più delle leggi e addirittura della vita altrui, cosicché in lui l'ideale vagheggiato da Antigone diventa un credo nell'amore egoistico della famiglia e della tribù. Al di fuori di essa nulla vale al cospetto e se una minaccia incombe la risposta non può che essere che di scongiurarla con ogni mezzo, anche il più cruento e violento.
Ma non tutti sono come Walt il chimico: la moglie, che pure si rende sua complice, alla fine cede giunta che è al punto di rottura (breaking bad) psicologico, così come Walter Junior, che dal più devoto dei figli diventa il più impietoso accusatore fino al rinnegamento del padre. Chi rimane al fianco di Walt è lo spettatore che ha seguito la sua spasmodica discesa agli inferi trovandosi con lui al fondo di un'impossibile risalita verso la riconquista della stima generale. Senonché il tanto male commesso, con delitti atroci e disumani, non è inferiore all'altrettanto bene per il quale ha agito, sia pure nell'interesse della sua sola famiglia. Ma non ha esitato a rinunciare a tutto il denaro pur di salvare la vita al cognato né si è risparmiato nei tanti tentativi di tutelare il giovane socio Jesse Pinkman cui si è affezionato e perciò ammettendolo nella sua "tribù".
Non è una serie che celebra la solidarietà umana Breaking bad, che pure, per i tanti contrasti psicomachici che propone, è anche una ardente prova di fede nell'istituto più religiosamente prezioso che esista, la famiglia. Per essa Walt diventa un criminale ma anche un uomo titolare di una ricchezza incalcolabile di denaro contanti: condizione nella quale è facile pensare di ritrovarsi se non fosse proprio la prevalenza, anche essa religiosa, di un altro valore a indicare le più giuste misure: la vita umana come bene supremo vale ancora di più della famiglia che diventa un bene relativo. Se relativo può dirsi un valore di per sé assoluto.
In questa guerra appunto tra valori assoluti, l'ambientazione scelta dagli autori non poteva essere più appropriata: il deserto del New Mexico. La scelta di Albuquerque, fotografata sempre in modo che sullo sfondo si scorgano le colline e si intuisca il deserto, metafora della desolazione, del vuoto e dell'aridità di spirito, bene si conforma a un'idea di città periferica, del Sud, di frontiera, dove le strade siano quasi sempre deserte, la gente sia rara e il traffico inesistente. Così gli artefici di questa tragedia moderna, rappresentazione forse un po' esasperata ma realistica del nostro tempo sospeso tra edonismo e spiritualità, casa e bar, lecito e trasgressivo, sembrano calcare una scena di teatro dove la parola fa premio sull'azione e l'espressione dei volti sui gesti dei corpi.
Si giustifica perciò tutto il successo registrato dalla serie, scritta nella ricerca dell'elemento ad effetto, presente ad ogni puntata, è vero, e senza badare molto alle inverosimiglianze (quale quella di un dirigente della Dia che si ritrova cognato del criminale cui dà la caccia e che smaschera per l'ultimo degli inizi immaginabili, una sigla su un libro), ma anche nel rispetto delle distanze psicologiche dei personaggi, nei loro grovigli interni e nella legittimazione di ogni dolore così da indurre a partecipare a tutti il proprio. Non c'è alcuna buona fine e la tragedia può chiudersi sulle questioni di sempre dell'uomo e sulla sua stessa natura.