venerdì 9 gennaio 2015

Parigi, troppo rumore per tre nullità


E' l'enorme spazio dedicato dalla stampa mondiale ai fatti di Parigi a costituire il vero pericolo di un'estensione esponenziale della minaccia terroristica. Chiunque si trovi nelle stesse folli condizioni mentali dei due fratelli e del loro amico dalla stessa testa malata, può ritenersi incoraggiato, vedendone gli effetti mediatici, a emularli in ogni angolo del mondo. 
C'è chi parla di guerra dell'Islam contro l'Occidente, chi di nuovo 11 Settembre, chi di strategie congiunte di Isis e Al Qaeda e chi di apposite iniziative di Paesi mediorientali. Nessuno pensa ai tre squilibrati di Parigi come a replicanti dei tanti pazzoidi che in tutto il mondo, ma soprattutto nella profonda America, entrano nelle scuole e massacrano innocenti in nome di fanatismi di altro nome ma della stessa natura. Nessuno pensa che la caccia all'uomo in Francia, i blitz delle teste di cuoio non sono stati momenti di una controffensiva di tipo militare ma operazioni di polizia contro la criminalità urbana di ultima generazione, quella imbevuta di ideali ammorbati da ideologie nichiliste, religiose e parapolitiche.
Quel che dobbiamo temere non è che la centrale terroristica mondiale sposti il mirino da Parigi a un'altra capitale e colpisca altri giornalisti irriverenti ma che un altro paio di sbandati di qualche banlieu, di reduci dai fronti mediorientali, di fanatici in cerca di un dio che li spinga a servire Allah e costruirsi armi e bombe seguendo istruzioni online, vogliano superare in ardimento e fama i tre ultimi "martiri" di Parigi. Che stanno agli eserciti dell'Isis, alle squadre di Al Qaeda e alle nuove formazioni di Khorassan come un turista sta a una città, di cui non diventa cittadino solo perché ci vive qualche giorno. Si tratta invece di isolati "terroristi" (titolo che già li nobilita perché in realtà altro non sono che due fratelli e un cugino déracinés degni di un buon manicomio, figli di una società che produce mostri insegnando il rap e inculcando dottrine guaste), vittime di una religione islamica che influisce come fede votata all'eliminazione fisica degli infedeli ma che conoscono ben poco.
Lo sapevano in Francia dal momento che Holland ha a piedi raggiunto dopo poco tempo il luogo della strage, dove era possibile che una missione terroristica meglio programmata mettesse in atto una fase due per colpire nuovi bersagli e magari più autorevoli. Così non è stato perché era chiaro sin dal primo momento che l'iniziativa dei due banditi e poi del terzo era solo la loro, determinata dalla rabbia contro una ostinata, insistente, sprezzante campagna antislamica del Charlie Hebdo, certamente sufficiente per scatenare una reazione distruttiva in coscienze minate che nient'altro aspettavano in realtà che di essere aizzate. 
Non è vero che se non avessero colpito al Charlie i due terroristi avrebbero sparato in un bar o in una metropolitana. E' vero invece che, se non fossero stati loro ad aprire il fuoco, sarebbero stati altri fondamentalisti a farlo, anch'essi di loro iniziativa come atto di fede o effetto di un'insania incurabile. I tre paramilitari hanno agito non solo da soli ma anche da sprovveduti. Organizzando l'operazione congiunta e dividendosi gli obiettivi tra giornalisti del Charlie e poliziotti, non si sono nemmeno preoccupati di crearsi una via di fuga né di dotarsi di appoggi logistici come farebbero i più comuni banditi. I due fratelli sono finiti in trappola dentro una tipografia a pochi chilometri dalla redazione del Charlie, aiutati dal solo Coulibaly, che doveva essere il solo kamikaze incaricato di negoziare la loro fuga. Un piano degno di un videogioco, uno di quelli ai quali i tre invasati avevano dedicato gran parte del loro tempo, come dimostra il modo disarticolato in cui i fratelli Kouachi si sono mossi sul campo. 
Non c'è nessuna strategia dietro, almeno ad alto livello. C'è solo una vasta banlieu sparsa in cento capitali nella quale milioni di scontenti, emarginati, derelitti, vinti e affamati, perlopiù musulmani, vivono covando sentimenti di odio e di vendetta contro un Occidente opulento e crudele e alimentando motivi di speranza vedendo in una fede e in un nuovo appello che viene dal deserto l'unica via per cambiare il mondo, il proprio di origine e quello nel quale vivono ma dal quale non riescono a farsi adottare.
La ragazza turca che si è fatta saltare a Istanbul e l'altra che ad ottobre ha fatto altrettanto in Siria sono già state dimenticate e hanno avuto scarsissima attenzione da parte della stampa solo perché hanno provocato appena un paio di vittime per giunta non note come i giornalisti del Charlie. E' questa l'aberrante logica che il nostro Occidente usa per esprimere uno sdegno di cui è esso stesso causa: una esecrazione da riservare soltanto al "sacrificio" di personalità illustri e a un numero non minore di dieci vittime, possibilmente bianche, di grandi città e del buon ceto. Se nel novero c'è qualche bambino l'attenzione dei media potrebbe addirittura raddoppiare. Funziona nella società dello spettacolo dove viviamo.
Perciò non si risolve il problema con le misure di rigore che vengono adesso valutate: incrementare i controlli alle frontiere, tenere sott'occhio le comunità straniere, alimentare una coscienza xenofoba non significherà che allargare ancora di più il fossato e allevare nuovi pazzi che in lucco di martiri e terroristi continueranno a sparare. L'unica soluzione possibile è di considerare fisiologici fatti come quelli parigini, al pari delle stragi opera di forsennati lasciati da soli a incrudelire il loro odio nelle loro mansarde: sono la conseguenza della globalizzazione, del mondo ridotto a metropoli pseudoapocalittica, di un Occidente malato del suo stesso febbricitante. Fatti fisiologici, come naturali sono i mutamenti climatici, reversibili solo a patto di una rivoluzione delle coscienze, cosa impossibile com'è l'idea di disciplinare Internet. Viviamo in un tempo che l'uomo non controlla più perché la tecnica ha preso il suo posto al comando e perché la globalizzazione ha comportato una uniformità che per logica di cose si conforma sempre più verso il basso, assecondando una entropia che credevamo solo fisica ma che è invece anche antropologica e sociologica. 
Non ci possiamo fare niente. Quel che possiamo fare è non dare a questi "fenomeni", a questi "effetti collaterali", il risalto che stiamo dando a tre figli del nostro tempo. Che volendo ripudiare non facciamo in realtà che affratellare. Quanto si mostrò vincente in Italia in occasione del rapimento Moro, quando tra staccare la spina e fare da megafono fu scelta la prima via per combattere le Br, può risultare appropriato anche adesso, davanti a una forma di terrorismo molto meno organizzata e preparata ma forse più brutale e assassina.