Nata per sganciare il Sud dall'Italia, la nuova Lega di Salvini (né più Nord né Lombarda o Veneta) non vede più nei meridionali i parenti stretti dei vu cumprà ma i cugini di campagna da far salire sul vecchio carroccio. Così oggi Salvini si è presentato ufficialmente a Palermo sbarcando in Sicilia.
Ma quella che si vorrebbe realizzare non è altro che un'operazione di annessione tipica della tradizione settentrionale. Salvini cerca voti nel Sud e non risorse. E se, almeno lui, non chiama più "ladrona" Roma, anche lui però si guarda bene dal promettere alle regioni al di sotto della capitale interventi mirati e particolari mentre continua a deprecare - giustamente peraltro - lo sperpero di fondi pubblici, la bassa qualità della vita, i deficit delle mafie, la stagnazione economica, il ritardo sociale.
Questo sguardo severissimo e punitivo che male interpreta la voce di Salvini, rendendolo doppio e fuori sincrono, tradisce un interesse anziché vagheggiare un'attenzione. Come è sempre stato, alla maniera piemontese, la Lega ha capito che il Meridione può essere utile: se non più a fornire manodopera a basso costo o depositi aurei quantomeno ad assicurare voti. Utile, s'intende, non al Paese ma alla Lega stessa.
Questo imprevisto scenario si è aperto dopo il vuoto nato nel campo moderato con lo sgretolamento della Casa della libertà e nel panorama nazionale con l'insorgenza di una forza ibrida e malfidata qual è Cinquestelle. Destinata a seguire la fine di Bossi e del suo cerchio magico, la nuova Lega si è vista offerta l'occasione d'oro di riempire da sola quel vuoto. Come osserva Stefano Folli oggi su Repubblica, Salvini non punta, per ora, al potere puntando le armi contro Renzi, ma ad occupare da solo la leadership dell'opposizione. Una volta divenuto il capo indiscusso della minoranza, Salvini aprirà la campagna di guerra contro Renzi che per il momento è un nemico lontano.
Molti intellettuali meridionali, orfani dei partiti di destra cui hanno fatto sempre riferimento, stanno guardando sempre più con maggiore concentrazione alle manovre della Lega. Che in cerca di quadri sta passando in rassegna fuoriusciti, sbandati, silurati e nostalgici ripetendo operazioni che ricordano gli anni precedenti al 1994 quando Forza Italia selezionava al Sud leve per i suoi primi circoli.
Il fatto nuovo, soprattutto in Sicilia, deve dunque continuare a venire dal Nord egemone e colonizzatore oltre che sfruttatore. I tentativi messi in campo da Raffaele Lombardo, Gianfranco Micciché, Rosario Crocetta di dare vita a forze autonomiste e meridionalistiche si sono infrante contro le viete logiche del tornacontismo, del clientelismo e del malaffare. Dopo aver blandito per anni gli elettori inducendo la speranza di un reale cambiamento che portasse a posizioni di rispetto davanti al Nord, i leader del meridionalismo de' noantri si sono dissolti nelle correnti politiche nazionali finendo, come nel caso di Crocetta, per esserne vassalli.
Inevitabile dunque che, così come le cose si sono messe in campo nazionale, spettasse alla Lega del garibaldesco Salvini aguzzare la vista oltre Roma e vedere che c'è mezza nazione in attesa di un altro messia. E' il suo turno. E come al solito l'intellighentia meridionale si è messa sull'attenti girando le spalle per offrirsi meglio all'arrivo dell'ultimo conquistador. Non a caso in Sicilia ricominciano a circolare vecchie questioni circa l'inutilità dello Statuto e il superamento dell'autonomia, rivolgimenti opportuni per incoraggiare il principe padano a vedere più facile l'occupazione di una terra normalizzata, quanto almeno alla parte che ha sempre votato a destra.
Le vecchie schiere democristiane trasmigrate in Forza Italia e rinsaldate dai transfughi di Lombardo e Micciché ora sono pronte a un nuovo esodo di massa e a seguire l'ultimo duce avvolto in una bella felpa con su scritto "Sud": nella speranza che sia la volta buona. Ma, gratta gratta il leghista, verrà sempre fuori il democristiano, quello che ha sempre creduto che l'abito faccia il monaco.
Ma quella che si vorrebbe realizzare non è altro che un'operazione di annessione tipica della tradizione settentrionale. Salvini cerca voti nel Sud e non risorse. E se, almeno lui, non chiama più "ladrona" Roma, anche lui però si guarda bene dal promettere alle regioni al di sotto della capitale interventi mirati e particolari mentre continua a deprecare - giustamente peraltro - lo sperpero di fondi pubblici, la bassa qualità della vita, i deficit delle mafie, la stagnazione economica, il ritardo sociale.
Questo sguardo severissimo e punitivo che male interpreta la voce di Salvini, rendendolo doppio e fuori sincrono, tradisce un interesse anziché vagheggiare un'attenzione. Come è sempre stato, alla maniera piemontese, la Lega ha capito che il Meridione può essere utile: se non più a fornire manodopera a basso costo o depositi aurei quantomeno ad assicurare voti. Utile, s'intende, non al Paese ma alla Lega stessa.
Questo imprevisto scenario si è aperto dopo il vuoto nato nel campo moderato con lo sgretolamento della Casa della libertà e nel panorama nazionale con l'insorgenza di una forza ibrida e malfidata qual è Cinquestelle. Destinata a seguire la fine di Bossi e del suo cerchio magico, la nuova Lega si è vista offerta l'occasione d'oro di riempire da sola quel vuoto. Come osserva Stefano Folli oggi su Repubblica, Salvini non punta, per ora, al potere puntando le armi contro Renzi, ma ad occupare da solo la leadership dell'opposizione. Una volta divenuto il capo indiscusso della minoranza, Salvini aprirà la campagna di guerra contro Renzi che per il momento è un nemico lontano.
Molti intellettuali meridionali, orfani dei partiti di destra cui hanno fatto sempre riferimento, stanno guardando sempre più con maggiore concentrazione alle manovre della Lega. Che in cerca di quadri sta passando in rassegna fuoriusciti, sbandati, silurati e nostalgici ripetendo operazioni che ricordano gli anni precedenti al 1994 quando Forza Italia selezionava al Sud leve per i suoi primi circoli.
Il fatto nuovo, soprattutto in Sicilia, deve dunque continuare a venire dal Nord egemone e colonizzatore oltre che sfruttatore. I tentativi messi in campo da Raffaele Lombardo, Gianfranco Micciché, Rosario Crocetta di dare vita a forze autonomiste e meridionalistiche si sono infrante contro le viete logiche del tornacontismo, del clientelismo e del malaffare. Dopo aver blandito per anni gli elettori inducendo la speranza di un reale cambiamento che portasse a posizioni di rispetto davanti al Nord, i leader del meridionalismo de' noantri si sono dissolti nelle correnti politiche nazionali finendo, come nel caso di Crocetta, per esserne vassalli.
Inevitabile dunque che, così come le cose si sono messe in campo nazionale, spettasse alla Lega del garibaldesco Salvini aguzzare la vista oltre Roma e vedere che c'è mezza nazione in attesa di un altro messia. E' il suo turno. E come al solito l'intellighentia meridionale si è messa sull'attenti girando le spalle per offrirsi meglio all'arrivo dell'ultimo conquistador. Non a caso in Sicilia ricominciano a circolare vecchie questioni circa l'inutilità dello Statuto e il superamento dell'autonomia, rivolgimenti opportuni per incoraggiare il principe padano a vedere più facile l'occupazione di una terra normalizzata, quanto almeno alla parte che ha sempre votato a destra.
Le vecchie schiere democristiane trasmigrate in Forza Italia e rinsaldate dai transfughi di Lombardo e Micciché ora sono pronte a un nuovo esodo di massa e a seguire l'ultimo duce avvolto in una bella felpa con su scritto "Sud": nella speranza che sia la volta buona. Ma, gratta gratta il leghista, verrà sempre fuori il democristiano, quello che ha sempre creduto che l'abito faccia il monaco.