sabato 17 ottobre 2015

Niente più arancini sul ferryboat



Il commissario Montalbano dovrà rinunciare al rito degli arancini consumati sul ferryboat delle Ferrovie, ma lo farà a cuor leggero visto che sia lui che Camilleri li trovavano decisamente immangiabili. Ma come tantissimi altri siciliani, non hanno mai rinunciato, ben sapendo di scontare un colpo di acidità, a fare la fila, pur con il mare in tempesta, davanti al bar semicircolare e ondeggiante del traghetto. Adesso che i bar dei traghetti statali, quelli che passano sotto la Madonna benedicente e portano treni nella stiva, hanno chiuso, commissario e suo autore dovranno correggere come tutti la loro cosmologia nella quale, per qualche ragione, colpa forse della Fata Morgana, attraversare lo Stretto significava fermarsi al bar e ritrovarsi per magia ragazzi. Un effetto di sinestesia. Morgana appunto. Tirano però un sospiro i titolari degli esercizi a ridosso delle due sponde, che erano ormai rassegnati a sentire automobilisti darsi appuntamento per un caffè sul traghetto, mentre dovranno rivedere il loro modo di affrontare la traversata i viaggiatori che dai treni, dopo l’andirivieni nel ventre buio di ferro del traghetto, risalivano in superficie e assiepavano il bar in un quarto d’ora d’aria e senso di libertà. 
Il traghetto delle Ferrovie, come del resto il treno che continua a fare lunghe manovre per riempirlo quasi fosse ingoiato da una grande balena, è un luogo che in chiunque vi capiti, specie se siciliano, suscita lo stimolo a mangiare, di modo che non rappresenta più un viaggio esso stesso ma una pausa e una sosta. Meglio ancora una esorcizzazione: quella della paura che lo Stretto ha sempre messo addosso ai siciliani finché non sono arrivati le navi a vapore e poi i traghetti: tant’è, racconta Sciascia, che per attraversarlo abili pescatori facevano indossare ai viaggiatori un berretto rosso portafortuna perché era facile morire tra Scilla e Cariddi, come infatti è poi avvenuto a ‘Ndria Cambria di D’Arrigo, naufragato e divorato dall’orcaferone. 
Non mangia forse anche Silvestro di Conversazione in Sicilia quando si trova sul ponte, davanti ai “piccoli siciliani di terza classe”, pane in una mano e formaggio nell’altra? Sentendosi tornato anch’egli ragazzo, posa dritto alle viste di Messina che avanza, nel freddo e nell’aria cruda di un giorno d’inverno, e alle spalle “le Calabrie”, come per la loro lunghezza interminabile le chiamavano, oggi non più, i siciliani diretti in continente.
Anche Sciascia conosce le Calabrie infinite, come conosce i riti da compiere sul traghetto. Quando, in Il mare colore del vino, il treno con la comitiva diretta in Sicilia arriva sul ferryboat, “ il professore, euforico, propose che si andasse tutti in coperta, sul traghetto, a prendere il caffè”: perché, lo sappiamo tutti i siciliani, metteva proprio euforia salire sul ponte, giorno o notte che fosse. Ma, fortuna del professore, ci andò da solo con la Dina e poi con lei sedette “di fronte a Messina, candida, nitida”, perché la madre della ragazza – siciliana ed esperta conoscitrice delle usanze a bordo al momento della pausa-caffè – non aveva alcuna intenzione di lasciare le valige incustodite sicché propose una staffetta, così da non lasciare inadempiuto il sacro costume della consumazione sul ponte. Una liturgia, da celebrare, come l’assunzione di una particella, possibilmente nel mezzo del Mare Grosso, come chiamano i messinesi lo Stretto, al centro dello scontro delle correnti pesanti dello Jonio con quelle leggere del Tirreno, esattamente sopra Colapesce che regge le colonne della Sicilia, il gigante Encelado inabissato che sbuffa e in fondo la nave di Ulisse in balia del gorgo e del mostro. 
Le Ferrovie non hanno chiuso semplicemente un bar come un altro, ma hanno cancellato d’un colpo un’epoca, anzi un’epopea. Passare dal bar e sostare sul ponte era un introibo alla vista dei “luntri” che cacciavano il pescespada, che poi sono i Mirmidoni orfani di Achille e trasformati in pesci pur conservando la spada. Lo Stretto, senza il bar sul traghetto, non sarà più lo stesso. Nemmeno il Ponte, quando mai venisse, potrà modificarlo a tal punto.

Articolo pubblicato il 15 ottobre 2015 su la Repubblica di Palermo