giovedì 6 luglio 2017

Le tele del mistero di Fiume l'irriverente

La Natività
La Resurrezione












La chiesa dell’Annunziata di Comiso conserva due tele di Salvatore Fiume poste una di fronte all’altra nell’abside centrale. Furono affisse nel 1984, l’anno di maggiori tensioni determinate dal progetto di installazione della base Nato.

L’artista comisano acconsentì a realizzarle l’anno precedente in occasione di un convegno promosso dalla parrocchia sul tema della religiosità popolare e della cultura ufficiale, presenti il vescovo Rizzo, Gesualdo Bufalino, il pittore Biagio Brancato e altri artisti e intellettuali locali. Al termine annunciò nella sorpresa generale di essersi convinto a realizzare i due dipinti per la chiesa alla quale apparteneva. L’invito gli era stato rivolto tempo prima dal parroco di allora, padre Giovanni Battaglia, ma si era rifiutato dopo avere avanzato una richiesta davvero inaccettabile: le sue tele in cambio dell’antica statua dell’Annunziata e di quella del Cristo risorto. Padre Battaglia si era allora rivolto a Brancato commissionandogli i due quadri che vedeva necessari per completare l’abside nella parte che sormonta il coro: uno sul tema della resurrezione e l’altro su quello della natività. Brancato aveva cominciato a lavorare al primo dipinto ma ad un certo punto aveva ritenuto giusto che fosse Fiume a realizzare le opere e aveva destinato il suo Cristo risorto alla cappella dell’ospedale dove oggi si trova. Fiume, accettando l’incarico, pose però una precisa condizione: “Non è un regalo il mio. Quando avrò terminato metterete una somma a vostro piacimento dentro un fazzoletto e io la destinerò in beneficenza”.
Fiume non amava Comiso, motivo per il quale aveva declinato l’invito di padre Battaglia e del vescovo. In una lettera a Brancato aveva definito la sua città natale “l’ingrata meretrice”, ancorché nel romanzo I sogni di Luisa è contro Ragusa che dirige la sua avversione notando che il capoluogo poteva essere salvato solo grazie ai comisani. L’artista si decise infine perché caldeggiava l’istituzione a Comiso di un Museo della pace e aveva già preso contatti con artisti di tutto il mondo per avere loro opere da esporre. Poi il museo non nacque, anche perché non sorse nemmeno la Base dei cruise, ma nel giro di un anno Fiume realizzò comunque le due opere: La Natività a destra e La Resurrezione a sinistra dell’altare maggiore.
La prima raffigura una canonica scena della nascita del Bambino, presenti la Madonna, San Giuseppe, i re magi, il bue e l’asinello, con in più una donna vestita di nero, a piedi scalzi, la gonna appena sotto i ginocchi e i capelli sciolti in figura di popolana. La donna è il ritratto di una parrocchiana realmente vissuta che aveva colpito l’artista, deciso ad aggiungere un elemento di modernità a una scena che lì per lì sembrò dissonante. Una donna scalza e con le gambe parzialmente scoperte, i capelli ostentati e la testa senza velo, bene si prestava a destare perplessità nell’osservatore, perché rompeva la sacralità del quadro introducendo una figura pagana. Fiume l’aveva già immaginata partecipando al convegno dell’anno prima su fede ufficiale e popolare, trovando la sintesi proprio nella figura di una donna del popolo che peraltro gli era già nota.
L’altra tela si offrì a un giudizio più critico perché nella sagoma del Cristo che risorge incielandosi chiunque si sentì indotto a vedere un missile nella fase di lancio tra soldati in armi, Il riferimento ai Cruise poteva apparire spontaneo, anche alla luce della polemica che era sorta tra il vescovo Rizzo e Leonardo Sciascia dopo la benedizione della prima pietra della Base. Fiume può allora avere voluto dire la sua compiendo una seconda sintesi, lasciando all’interpretazione collettiva di stabilire se il vescovo avesse fatto bene a benedire, per dirla con le parole di Sciascia, le bandiere di guerra o se invece il Cristo in taccia di missile adombrasse un asservimento della chiesa alle logiche del militarismo.
Ma forse c’è un’altra spiegazione al Risorto affusolato e preda di un vortice che sembra farlo ruotare. Essendo costretto, nel realizzare i due dipinti, ad accettare la condizione imposta da padre Battaglia, il primo committente, che fossero quadrati, Fiume si trovò di fronte al problema di raffigurare Cristo nel momento in cui si eleva dal sepolcro e si innalza in cielo, conferendogli una sorta di spinta propulsiva e nello stesso tempo plastica. Non potendo rendere la proiezione, l’artista scelse di mutare il moto verticale in un moto rotatorio, imprimendo al prorompimento della figura in elevazione il senso di un vertiginoso avvitamento che, se elimina l’effetto di appiattimento, in realtà è facilmente assimilabile alla manovra di un missile espulso con forza da una rampa di lancio. Il risultato piacque moltissimo alla chiesa iblea che ne rimase entusiasta. Ma serpeggiarono voci di contrarietà perché Fiume aveva più volte manifestato la sua avversione nei confronti non solo della sua città ma anche della chiesa, che accusava di aver trattato male il padre, don Luciano, autore di lavori artistici commissionati dalla curia e non retribuiti.
Il giorno dell’inaugurazione delle tele, quando monsignor Battaglia non era più il parroco dell’Annunziata essendo stato chiamato a organizzare la Caritas siciliana, mormorii si levarono alla consegna a Fiume da parte del parroco di due assegni, ognuno di dieci milioni. L’offerta che l’artista aveva lasciato alla scelta dei suoi committenti apparve alquanto generosa.
Fiume disse che il ricavato sarebbe andato a una missione in Eritrea e agli scavi archeologici che in contrada Castiglione stava conducendo la comisana Mangani Nicosia. Metà dei venti milioni fu sborsata da padre Battaglia, che investì parte dei propri risparmi e tutti i fondi ricevuti dai parrocchiani in segno di omaggio per il suo 25esimo anno di sacerdozio. L’altra metà arrivò da una famiglia comisana, Iacono, trapiantata a New York.
I borbottii furono anche dovuti al fatto che l’opera di Fiume poteva essere vista nell’ottica di un atteggiamento anticlericale ancora più deprecabile perché tenuto dall’autore mascherato e dissimulato. Le voci in tutti questi anni non si sono tacitate e sono tornate a farsi sentire lo scorso anno in occasione di un convegno per il centenario della nascita di Fiume. Pippo Di Giacomo, ex sindaco e oggi deputato regionale, intimo amico di Fiume, ha espresso il convincimento - condiviso da altri - che le due tele non valessero al tempo della loro realizzazione meno di 500 milioni, cosa che fa dunque supporre che fossero state regalate dall’artista senza che nulla egli avesse chiesto in pagamento, nemmeno da destinare a opere di beneficenza e tantomeno da lasciare alla discrezione altrui.
Se le cose stanno così, monsignor Battaglia e il vescovo Rizzo avrebbero fatto passare una donazione per una commissione onerosa. Rizzo è scomparso da tempo. Battaglia, ottantaduenne, vive a Ragusa nella sua casa di famiglia, dove nello studio tiene affisse le gigantografie, firmate da Fiume, delle due opere in copia. “Non si trattò affatto di un regalo - dice a Eccellente. - Fiume ci aveva già detto no, ma quando organizzai il convegno a lui dedicato al teatro Naselli, al termine ci disse sì e parlò proprio di un fazzoletto dentro il quale avremmo dovuto mettere i soldi che intendevamo devolvere tramite lui in beneficenza”.
Fiume non fu però contento delle due tele. A monsignor Burrafato, cappellano, rivelò l’intenzione di rimetterci mano per definire meglio le linee. A spingerlo fu il confronto con altre due tele presenti nella stessa abside, quelle di San Pietro e San Paolo, molto più curate, ma certamente meno belle ed espressive.
Sebbene fosse tornato molte volte a Comiso alloggiando all’hotel Villa Orchidea, l’artista non attuò mai il proposito di ritoccare i quadri e preferì lasciarli nello stato in cui oggi si possono vedere: nella Natività con il Bambino sproporzionato, Maria e Giuseppe già con il nimbo, la popolana su una sola gamba; nella Resurrezione con i soldati in fogge arabesche tipiche di Fiume, l’abbondanza del volteggio, il volto del milite in alto trasfigurato in un ghigno animalesco. Resta irrisolta la questione delle vere intenzioni dell’artista, il cui espressionismo può essersi pronunciato a Comiso nei modi di un’irriverenza e di un grottesco.