mercoledì 11 luglio 2018

C'erano una volta le trazzere, muore la Sicilia d'antan



Il sistema delle trazzere regie siciliane versa in uno stato di pre-estinzione. L’antica rete viaria siciliana misura undicimila chilometri e tutti in condizioni di rovina. Quelle che nell’Ottocento sono state le vie della transumanza, nel Settecento le strade dei viaggiatori e prima ancora, fino all’età greca, i percorsi di collegamento comuni ad armenti e viandanti, sono oggi oggetto di accaparramento dei proprietari fondiari che le stanno letteralmente cancellando.
La legge regionale di salvaguardia delle trazzere intende “valorizzare in tutti i sensi” il demanio trazzerale affidandolo ai Comuni, i quali però non possono che farne itinerari di trekking e quindi punti di interesse turistico quando invece dovrebbero “valorizzarlo” in un solo senso: quello culturale. Il che richiede però conoscenze, preparazione e saperi che gli enti pubblici non hanno e che i privati non hanno perseguito, donde sparuti e minoritari, perlopiù catastali, sono le ricerche e gli studi disponibili sulle trazzere.
E’ così che ancora una volta la cultura finisce in Sicilia per essere vista unicamente come risorsa turistica, da incentivare in quanto possa rendersi economicamente produttiva e non già da tutelare nella sua qualità di bene anche immateriale del patrimonio più cospicuo dell’isola, al di là della remunerazione e delle cosiddette ricadute che sia in grado di suscitare. Questo grosso e storico equivoco ha determinato che la cultura sia stata compresa tra le deleghe dell’assessore al Turismo e non abbia un suo assessorato che non sia quello dei Beni culturali – che si occupa dei siti in quanto tali secondo logiche che sono le stesse del Turismo – e più distaccato ed estraneo quello della Pubblica istruzione, che si interessa di scuola, ma non certamente di cultura.
A causa di questo vuoto, l’attenzione dei visitatori, riguardati sempre in veste di turisti e non di appassionati cultori, è rivolta ovviamente a quanto è possibile far loro vedere e fotografare e non a ciò che può essere solo immaginato. Si parla perciò solo di flussi di turisti da portare in un sito e non di influssi che opere, memorie storiche e tradizioni possano esercitare su un pubblico che sia anche non presente. Così il turista sa tutto delle Mura di Eurialo di Siracusa, di cui trova numerosi depliant e ricche guide, mentre sconosce del tutto un evento ben più rilevante quale fu la guerra di Siracusa contro Atene: perché di essa non è rimasto niente da vedere se non vaghi richiami come quello dell’Orecchio di Dionisio. Allo stesso modo i turisti ammirano a Palermo le mummie delle Catacombe dei cappuccini e poco sanno dei Beati paoli, come a Catania guardano il Liotru e ignorano Eliodoro.
Nel caso delle trazzere, se la Regione intendesse tutelare l’idea, platonica, delle trazzere più che le trazzere in sé (che essendo demaniali dovrebbero già essere tutelate dal demanio), opererebbe realizzando Dvd, libri, convegni, siti web, seminari nelle scuole, programmi televisivi e “campagne” di conoscenza che creino il fruitore remoto oggi e il turista avvertito domani. Ma chi dovrebbe provvedere se manca un assessorato alla Cultura concepito come ente promotore del patrimonio storico, mitologico, letterario della Sicilia, cioè di quanto non si vede? Invalendo questo modello di cultura lo stesso progetto del Ponte sullo Stretto di Messina assumerebbe un aspetto che terrebbe conto dei grandi influssi mitologici che gravitano sul luogo, da Colapesce ai Mirmidoni, dalla fata Morgana a Re Artù, da ‘Ndria Cambria ai luntri del pescespada.
Ma se la salvaguardia dei beni immateriali è una prerogativa dell’Unesco, per la Regione e tutti gli enti territoriali siciliani appare solo un inutile infingimento se non un capriccio o un trastullo. E allora l’opera di valorizzazione per legge delle trazzere potrà ottenere che siano mantenute ancora in vita e che gruppi di escursionisti le percorrano al posto delle mandrie, ma nulla, stando così le cose, potrà fare perché siano valorizzate come beni immateriali di una Sicilia da evocare. Quella Sicilia al centro della quale, ai piedi delle “due gobbe di case della città di Agira”, Elio Vittorini fa incontrare in Le città del mondo due pastori nomadi con i loro figli: a poca distanza da Portella Mannara che, a ridosso della riserva naturale dell’Altesina, segna un incrocio di grandi trazzere regie che tagliano l’isola in quattro quarti: la trazzera che da Palermo arriva a Catania e quella che da Gela risale fino a Santo Stefano Camastra, in aggiunta a quelle che diramano una da Catania e l’altra da Cefalù per proseguire insieme fino alla Piana di Gela. Oggi non si vedono che nel tracciato di terra scoscesa ed erbe di fossi disegnate dalle lunghe filiere di filo spinato, ma della loro storia di sudori, sacrifici e vita siciliana non ci diranno mai niente se qualcuno non ce la racconterà.